Realtà e poesia nella pittura di Oscar Ghiglia in mostra a Firenze

Palazzo Medici Riccardi ospita un omaggio a Oscar Ghiglia attraverso sessanta opere, dando risalto agli anni che lo videro frequentare Novecento, il movimento sviluppatosi attorno alla figura di Margherita Sarfatti, e in cui raggiunse le vette più alte della sua pittura

In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. Questa franca opinione veniva espressa ad Anselmo Bucci nientemeno che da Amedeo Modigliani, che di pittura se ne intendeva abbastanza. E per quanto fosse estremamente diverso da lui, in fatto di personalità, ne rispettava la statura umana e morale, che si rispecchiava in una pittura elegante ma sobria, ma eccessiva nei colori e nelle dimensioni. Oscar Ghiglia (Livorno, 1876 ‒ Prato, 1945) può essere considerato un pittore gentiluomo, che però nel dopoguerra è stato colpevolmente accantonato a causa di una vulgata che lo accusava di connivenza con il fascismo, di cui proprio l’adesione al movimento Novecento sarebbe stata la prova. In realtà così non era: Ghiglia non faceva politica e con il regime di Mussolini non ebbe mai niente a che fare. Lo stesso movimento, inoltre, fu avversato dal fascismo e la Sarfatti lasciò l’Italia a causa delle leggi razziali.
Comunque per Ghiglia, il “ritorno all’ordine” del dopoguerra fu una normale prosecuzione di quanto fatto in precedenza, poiché non era appartenuto ad alcuna avanguardia e mai si era discostato dalla sobrietà della misura, nell’arte come nella vita. Sobrietà di uomo e artista probabilmente figlia di quelle difficoltà da lui conosciute non ancora adolescente, quando a seguito della prematura scomparsa del padre fu costretto a guadagnarsi da vivere lavorando; s’impiegò infatti come merciaio ambulante in Lunigiana, come mestichiere a Viterbo, ortolano a Pistoia. In questo contesto di dignitosa fatica, l’arte diventava un momento di evasione dalla dura realtà quotidiana, e un mezzo per costruire una serenità che spesso mancava.

Oscar Ghiglia, La modella, 1928-29. Collezione privata

Oscar Ghiglia, La modella, 1928-29. Collezione privata

LA MODERNITÀ DELL’ANTICO SECONDO OSCAR GHIGLIA

Bisogna crearsi una vita antica per voler restare nel nostro tempo”. Un’affermazione che può sembrare un’aperta contraddizione, ma in realtà denota la statura della cultura di Ghiglia, che vede nel concetto di “antico” il perdurare di pratiche a misura d’uomo come la sensibilità per la memoria e la conoscenza storica, il silenzio e la riflessione. Novecento, che era nato a Milano nel 1922, aveva fra i suoi punti programmatici anche il recupero della fedeltà figurativa e del classicismo. Ghiglia vi aderì volentieri ma, come accennato, per lui non era una questione di “recupero” bensì di “prosecuzione”. E la mostra lo racconta coprendo un arco temporale che va dal 1908 al 1936, durante il quale la pittura di Ghiglia si sviluppa come una sorta di elegia della sobrietà piccolo borghese dell’Italia umbertina di cui era figlio e della quale, probabilmente, nel caos degli Anni Venti, si sentirà orfano. Con un pizzico di nostalgia, le sue tele mai persero quel gusto ottocentesco per gli ambienti domestici, per i paesaggi vasti e silenziosi, per gli oggetti preziosi che arricchiscono le nature morte e comunicano la sensazione di un’intimità domestica capace di infondere quella sicurezza che l’Europa, ormai avviata verso i totalitarismi, aveva perduto.
Ma questo indulgere sulla malinconica intimità e sul realismo intriso di poesia non gli precluse di guardare al panorama europeo, e seppe accogliere le innovazioni prospettiche e formali di Cézanne con cui aggiornò il suo vocabolario estetico. Ma, sempre, lo infuse di classicità, che in questo caso fa rima con normalità e sobrietà, intese soprattutto in senso etico.

Oscar Ghiglia, Paulo al cutter, 1919, Istituto Matteucci, Viareggio

Oscar Ghiglia, Paulo al cutter, 1919, Istituto Matteucci, Viareggio

LA MAGIA E LA MUSICA NELLA PITTURA DI GHIGLIA

Il Realismo magico è un naturale punto d’approdo per Ghiglia, e la mostra si chiude con una vera e propria sinfonia di opere d’arte. Le sue nature morte e i suoi interni borghesi risplendono in realtà di vita, sono attraversati da corpi di cui s’intuisce la presenza, fanno parte di universi interiori che si riverberano sul mondo esterno; in questo modo sono gli scrigni di una realtà “altra” che in alcuni casi l’introduzione dell’elemento specchio contribuisce ad amplificare, idealmente e visivamente.
Ma Ghiglia riesce ad andare oltre, conferendo ai suoi dipinti, alle nature morte in particolare, una delicata musicalità di colore che non ha eguali e che contribuisce a giustificare l’opinione di Modigliani. Grazie a pennellate brevi e vibranti, che raggiungono particolare intensità in quelle pitture d’ispirazione giapponese. Ma anche il corpo femminile ha una sua musicalità, e molti sono i punti di contatto con Modigliani (che lo incoraggiò nella carriera) che la mostra evidenzia in parte accostando un suo disegno ad alcuni dipinti di Ghiglia. Pur colta nella sua nudità, si percepisce un profondo rispetto per la donna, e quella stessa nudità riesce a sublimare la dolcezza.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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