Lo spettro del passato nella mostra di Ivan Grubanov a Milano
Negli spazi della galleria Ipercubo prendono vita le opere dell’artista che rappresentò la Serbia alla Biennale Arte del 2015: nei lavori di “Skin Nation Class” le bandiere dell’ex Jugoslavia diventano moniti destinati a ripetersi
Il flusso del tempo, intrappolato in un duro monito: ricordate ciò che è stato, perché questo è il destino dell’umanità. Un avviso più che attuale quello veicolato dall’ultimo ciclo di opere di Ivan Grubanov (Belgrado, 1976), l’artista che rappresentò la Serbia alla Biennale Arte del 2015 e che ha contribuito alla selezione del progetto per il padiglione serbo di quest’anno.
I lavori di Grubanov, in mostra nella giovanissima galleria Ipercubo a Milano per la sua prima personale italiana, sono realizzati su tela con specchi neri e bandiere dismesse. Sulla falsariga di United Dead Nations, il suo intervento a Venezia, tornano le bandiere di Stati scomparsi, che questa volta sono tutte di uno Stato solo, di cruciale importanza per l’artista: pure sotto i tanti stati di vernice, si staglia con chiarezza sul tessuto la stella dell’ex Jugoslavia.
LE BANDIERE NELLE OPERE DI GRUBANOV
“Questa bandiera, che è l’unico strumento che uso per trasferire il colore sulla tela, rappresenta il passato. Il segno di colore che lascia sulla tela, le ripercussioni nel presente. Lo specchio nero, che deforma la realtà e ci restituisce un’immagine falsata di noi stessi, un possibile futuro”, racconta Grubanov. Ormai ridotte a stracci, le bandiere rimangono uno strumento potente per chi le controlla: sono loro a spingere le persone a obbedire, imbracciare le armi e morire, non appena compare lo spettro minaccioso del diverso. E come lo riconosciamo? “Nonostante ci illudiamo di aver superato i nostri demoni con le tecnologie, il metodo per separare le persone è lo stesso da sempre: il colore della pelle, la nazionalità, la classe”. Da qui il titolo della mostra: Skin Nation Class.
LA MOSTRA DI IVAN GRUBANOV ALLA GALLERIA IPERCUBO DI MILANO
Il piccolo ma luminoso spazio della galleria in corso di Porta Ticinese ‒ ricolmo del singolo polittico di Grubanov, composto da sei diverse tele quadrate, e dei motti nazionali dei Motto Paintings ‒ è intriso di un odore denso di vernice e fumo che ricorda Burri: “Ivan affumica le superfici delle tele, è un processo che ha iniziato anni fa con gli ‘Smoked Screens’, gli specchi che evocano le ‘cortine di fumo’ delle battaglie. È anche una metafora della copertura della vera natura del conflitto”, spiega Matteo Graniti, cofondatore della galleria con Gabriela Galati e Andrea Esposito. Il lavoro di Grubanov sul concetto di nazione, iniziato circa quindici anni fa, diventa sempre di più un commentario cinico e contemporaneo contro l’Historia Magistra Vitae, un silenzioso contraltare alle notizie sulle rinnovate spese per la difesa, la xenofobia e la salvaguardia dell’identità territoriale. Ecco che il presente finisce per imitare grottescamente il passato. Che brucia ancora: “Non piacciono molto le mie opere, in Serbia. Mettono la gente a disagio”, afferma Grubanov.
‒ Giulia Giaume
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati