Documenta 15 a Kassel tenta di dirci qualcosa sul futuro dell’arte

Gruppi di attivisti, collettivi di creativi, cooperative di artisti, associazioni impegnate in territori difficili al cospetto della marginalità e delle più stringenti questioni sociali. Coinvolgendo questi soggetti in una grande mostra istituzionale Documenta 15 a Kassel prova a ridefinire una nuova potenzialità di coinvolgimento dell'arte

Documenta 15 – da oggi e per 100 giorni allestita nel pieno centro della Germania a Kassel come avviene a intervalli di 5 anni dal 1955 – non è necessariamente una mostra strana come buona parte del sistema dell’arte contemporanea l’ha bollata senza neppure andarla a vedere (tant’è che gli operatori presenti durante la preview professionale erano davvero esigui).
Documenta semmai è una mostra che ci prova. Fa tentativi, forzature, testa il limite. Stressa il confine di ciò che è o non è arte e di ciò che ha senso o meno essere esposto in uno spazio museale. Come tale Documenta è un esercizio espositivo, culturale e di ricerca da seguire con la massima attenzione. Con rilevanti potenzialità di essere una mostra seminale per i prossimi decenni.

Tutt’altro che anomala, quindi, la Documenta del 2022 immaginata dal collettivo di Jakarta ruangrupa ci racconta che se l’arte contemporanea ha qualche flebile speranza di combattere la sua crisi di posizionamento nella società e presso i cittadini, questa speranza passa dalla propria capacità di farsi elastica, duttile, fluida. Di riconfermarsi insomma agli occhi del pubblico come disciplina in grado di interfacciarsi in maniera semplice con i grandi temi dell’ambiente, della produzione, dei rapporti tra popoli, delle migrazioni, del genere, della marginalità, della povertà, del post-colonialismo, della solidarietà, della comunità, del paesaggio, dell’inclusività. Ma anche dell’agricoltura, dell’artigianato, del cibo. Perfino della moda e dell’abbigliamento. E si badi, non è questione di proporre meramente “arte politica” (quello lo hanno fatto altre Documenta in passato). Ogni tanto l’ideologia emerge, è inevitabile, ma quello che si percepisce è concretezza e focus sui problemi. Dunque, sovente, si percepisce verità.

Documenta 15 Dan Perjovschi al Fridericianum

Documenta 15 Dan Perjovschi al Fridericianum

COME VISITARE DOCUMENTA 15 A KASSEL

Come di consueto Documenta concentra le sue sedi principali nel cuore della cittadina dell’Assia. Negli edifici neoclassici del Fridericianum, all’Ottoneum e alla Documenta Halle. Quest’anno però l’intenzione è stata quella di decentrare ulteriormente la mostra: non solo in tante piccole sedi sparpagliate per la città e nel parco di Karlsaue come è sempre avvenuto nelle ultime edizioni, ma anche in building espositivi molto importanti nella zona est. Qualche esempio? L’area Hubner, una grande deposito in Hafenstrasse, o lo spazio espositivo WH22 vicino alla stazione. Per aiutare la visita la città è stata divisa in quattro quadranti e la suddivisione, con relativi colori orientativi, è riportata nelle mappe e nella segnaletica: rosse le aree espositive a nord, viola quelle a est, verdi quelli lungo il fiume e nel parco,  gialle infine quelle centrali. Orientarsi è facile ma non facilissimo, booklet e mappa danno una mano fino ad un certo punto. Resta fermo un fatto: anche a causa del tanto materiale da leggere (no, non è noioso, ma è tanto!), per visitare tutta Documenta occorrono tre giorni. Si possono fare le corse in due giorni a patto di rinunciare a qualche cosa e a dotarsi di una bici a noleggio.

Documenta 15

Documenta 15

IL SENSO DI DOCUMENTA 15 A KASSEL

Il tema della Documenta di quest’anno risponde al concetto di “lumbung”. In indonesiano – i curatori vengono dall’Indonesia, e molti degli artisti vengono dall’Asia, dall’America Latina o dall’Africa – sta a rappresentare quel luogo dove viene conferito il raccolto in eccesso di riso. Un magazzino comune, orizzontale e condiviso che compensa le sfortune di qualche coltivatore e le fortune di qualcun altro. Su questa attitudine all’insegna della praticità e della generosità, si vuole articolare tutta la mostra. Una mostra che ha a volte le sembianze di una ‘normale’ mostra d’arte e talvolta quelle di un archivio, dove all’osservazione delle opere si sostituisce la consultazione di materiali, documentazioni, risultati di workshop. Il bilanciamento tra questi due linguaggi – quello più artistico e quello documentario – risulta però tutto sommato in equilibrio, senza particolari forzature. Insomma non è vero che Documenta 15 è una mostra tutta composta da non-artisti, ma piuttosto una mostra dove si enfatizza il mix tra artisti visivi tradizionali (ancorché quasi mai occidentali) e gruppi, bande di creativi, collettivi, organizzazioni sociali, editori indipendenti, gang di attivisti, cooperative di designer e così via. Dai quattro angoli del mondo e ciascuno intenzionato a mettere in piazza il proprio racconto. Alcuni di questi gruppi, una volta invitati, neppure sapevano cosa Documenta fosse e anche questo ha rappresentato un esperimento.

Documenta 15 Gudskul

Documenta 15 Gudskul

GLI SPAZI DI DOCUMENTA: FRIDERICIANUM, OTTONEUM E DOCUMENTA HALLE

Il Fridericianum è un catalogo di storie, ogni sala un collettivo artistico, progettuale o creativo presenta un progetto pensato appositamente per la mostra oppure ricostruisce (e in questo caso la cosa funziona meno) il proprio ambiente di lavoro rischiando di scivolare nel folklore. Complessivamente però il percorso funziona perché offre al visitatore una opportunità di valore: scoprire cose nuove, imbattersi in progetti mai visti ne sentiti prima. La Gudskul, iniziativa di alcuni componenti di ruangrupa, è una piattaforma che si basa sulla condivisione e riesce a creare community (non solo sul campo, ma anche in mostra), altri progetti risultano semplicemente giustapposti l’uno a l’altro. Non collaborano tra di loro, non si innesca lo spirito del lumbung. Ciò non toglie che siano progetti interessanti, spesso delle autentiche scoperte. Come El Warcha, collettivo tunisino all’insegna del design partecipativo che restituisce in una sala i risultato di un workshop che durerà tutta la mostra. Come foundationClass collective che punta tutto sulla formazione e crea nell’esedra dell’edificio uno spazio condiviso di sedute attorno ad una fontana e sormontato da una serie di banner che evocano frasi riferite al mondo della formazione. La fontana è realizzata con i “common pot”, altro emblema di questa Documenta: le scodelle che simboleggiano un’economia orizzontale e circolare fatta di scambio monetario e non monetario.

Documenta 15 Archivio delle lotte in Algeria

Documenta 15 Archivio delle lotte in Algeria

A piano superiore si innescano una serie di curiosi paralleli tra Documenta e la Biennale di Venezia. In una sala, vicino al The Black Archives, ecco l’Archivio delle lotte delle donne in Algeria e subito si ripensa al padiglione francese di Zineb Sedira. Sulle pareti semicircolari dell’esedra ci sono i lavori dell’artista rom Malgorzata Mirga-Tas vista a Venezia nel padiglione polacco, la sua presenza è una delle tante dedicate agli artisti rom sotto l’etichetta “RomaMoma” in collaborazione con la OffBiennale di Budapest, una delle sezioni particolarmente riuscite di tutta la rassegna.

Documenta 15 Malgorzata Mirga Tas

Documenta 15 Malgorzata Mirga Tas

I ruangrupa hanno coniato un glossario, un vero vocabolario di termini attorno al quale hanno costruito lo storytelling di questa mostra. Anzi, come dicono loro l’ekosystem. A furia di girare per gli spazi espositivi generi familiarità con questo lessico e inizi a familiarizzare con una serie di slang utilizzati come passepartout per assegnare ruoli e funzioni alle varie parti della mostra: common pot, lumbung appunto, ruru per dire spazio, skul per dire scuola, meydan per dire riunione e altri. Al Fridericianum c’è un ampio Rurukids al piano terra: con tanto di programma per far divertire grandi e piccini in uno spazio di apprendimento e dialogo. Ma non è l’unico spazio dedicato ai bambini: poco oltre c’è un vero, grande, ben progettato asilo nido, questo per una fascia di bambini da 0 a 3 anni. I visitatori possono lasciare lì i figli e visitare la mostra, si tratta di un progetto dell’artista ed educatrice Graziela Kunsch.

Documenta 15 ruruKids

Documenta 15 ruruKids

Sulla facciata del Fridericianum, le celebri colonne che segnano le giornate di chi visita Documenta sono ‘imbrattate’ da messaggi, slogan e graffiti pacifisti dell’artista Dan Perjovschi. Si tratta di uno dei tanti interventi che troveremo ripetuti in giro per Kassel. Ad alcuni artisti è stata concessa una presenza su più spazi, ricorrente. Perjovschi infatti è presente coi suoi statement anche sul piazzale della stazione con una grande installazione site specific. Ma c’è anche Hamja Ahsan che ha invaso la città con le sue insegne luminose di immaginari punti vendita di pollo fritto. E ci sono gli attivisti di Taring Padi: nella piazza principale e in un’altra area a est con le centinaia di ‘maschere’ delle loro manifestazioni-carnevali artistici di protesta e perfino sulla facciata del centro commerciale o di fronte al fiume con i loro dipinti.

Documenta 15 Hamja Ahsan 1_1

Documenta 15 Hamja Ahsan

Restando sulla piazza centrale di Kassel – oltre alla tenda-ambasciata dedicata al popolo aborigeno che qui festeggia 50 anni concepita dall’artista Richard Bell – c’è da segnalare un nuovo lavoro video con proiezione in ambiente immersivo della acclamata Hito Steyerl negli spazi dell’Ottoneum appaltati al collettivo INLAND. E poi la visita del Documenta Halle dove l’ingresso è stato ridisegnato dall’organizzazione comunitaria Wayukuu Art Project a riprodurre lo slum di Nairobi dove operano (loro anche un lunghissimo video) e gli artivisti di INSTAR che allestiranno nel loro spazio una nuova mostra ogni 10 giorni. Qui alla Halle c’è anche la ‘sede’ di Lumbung Press, ovvero la tipografia collettiva che tutti gli artisti di Documenta possono utilizzare per produrre manifesti e stampe, fare comunicazione non mediata e inviare il materiale per essere distribuito nei due Lumbung kios, ovvero i negozi mediante i quali Documenta veicola il suo ‘merchandising’. Non sempre come nel caso della tipografia il concetto di “lumbung” funziona, talvolta le le esperienze presentate in mostra risultano perfino escludenti, si tratta del resto di processi ed è difficile per il visitatore catapultarsi dentro a progettualità che si svolgono da anni e hanno un loro sviluppo lento. Preparatevi anche a questo: potrà succedere di avere la sensazione di ritrovarsi nella fiera delle buone pratiche senza avere il tempo e il modo di approfondirle.

Documenta 15 Lumbung kios

Documenta 15 Lumbung kios

LA COERENZA DI DOCUMENTA 15

Oltre che nel palazzo centrale dove si trova la Wellcome Area (ruruHouse nel gergo dei ruangrupa), l’altro Lumbung kios si trova nella Hübner Areal, uno spazio ex industriale dove si proiettano i documentari collaborativi di Subversive Film, dove cantano i musicisti del Festival sul Niger e dove sono riportati i risultati sulla lavorazione della terracotta della Jatiwangi Art Factory. (E dove non va persa, sottoterra, l’installazione di Amol K Patil). Qui il chiosco di Documenta conferma un tratto di questa edizione: la coerenza. Difficilmente coglierete in fallo l’organizzazione. Inclusività e sostenibilità smettono di essere narrazione e cercano di declinarsi nel concreto e nel profondo, perfino nel merchandising. Dal birrificio dove è stata realizzata la birra di Documenta fino alle piantagioni di caffè (sì, c’è anche un caffè di Documenta, meno di 8 euro al pacco), fino ai laboratori sociali dai quali provengono le t-shirt e le sciarpe. E perfino il salame, insaccato da una macelleria sostenibile.

Documenta 15 Festival sur le Niger

Documenta 15 Festival sur le Niger

Tutta scena? Forse. Ma sta di fatto che la direzione è quella a livello globale e Documenta potrebbe dare una accelerata su molti fronti. Incluso quello degli oggetti e dei souvenir che si vendono a margine delle mostre. Così come probabilmente la darà sull’accessibilità: i booklet che aiutano alla visita sono stampati in due versioni, venendo incontro in quella più semplificata a chi presenta qualsivoglia neurodiversità. E le tante sedi espositive hanno quasi sempre una porta d’ingresso senza barriere architettoniche, opportunamente e enfaticamente segnalata: il tempo delle mostre allestite in luoghi assurdi dove solo alcuni hanno accesso è agli sgoccioli. C’è poi il relax, l’ultima cosa che ti aspetti in una rassegna tentacolare come questa. E invece in quasi tutte le sedi ci sono spazi dedicati, stanze tranquille dotate di divani dove è vietato parlare al telefonino (bandita anche la vibrazione eh!), dove si entra senza scarpe e si recuperano energie e concentrazione. Vogliamo ancora un altro punto su cui, vedrete, Documenta sarà pioniera? Il riciclo e la circolarità dei materiali espositivi una volta terminata la mostra. Dove va tutta questa roba? Dove finiscono gli allestimenti, le segnaletiche, i muri in cartongesso? Documenta dedica spazio – e convegni nel corso dei suoi 100 giorni – a questo tema coinvolgendo (anche qui) una numerosa serie di organizzazioni e associazioni che in Germania si occupano dell’argomento. Una volta che questi treni partono, poi non si torna più indietro.

Documenta 15 le stanze per il relax

Documenta 15 le stanze per il relax

DOCUMENTA 15. LE CONCLUSIONI

Ci sarebbero un’altra dozzina di esempi da riportare, sedi espositive da consigliare e artisti (o meglio collettivi) da indicare come meritevoli, ma i caparbi lettori arrivati sin qui a leggere meritano che ora si giunga a qualche conclusione. Partiamo da un esempio: nella sede espositiva WH22, vicina alla stazione – quella dove il gruppo The Question of Funding ha portato una (bella) mostra di artisti di Gaza facendo guadagnare alla manifestazione accuse di antisemitismo – c’è un locale notturno sotterraneo, un pop up tedesco del Party Office indiano dell’artista e curatrice Vidisha-Fadesha. Lo spazio organizza feste dalle 10 di sera alle 8 del mattino dove possono entrare solo persone FLINTA (sta per “female, lesbian, intersex, non-binary, trans e agender) e BIPoC (sta per “Black, Indigenous e People of Colour”). Da un lato una posizione escludente, dall’altra una attenzione che può essere una strada per rendere l’arte un linguaggio familiare ad alcune specifiche comunità.

Documenta 15 Wajukuu Art Project

Documenta 15 Wajukuu Art Project

Oggi l’arte contemporanea – nonostante si crogioli nei suoi successi finanziari – ha una evidente difficoltà ad entrare in relazione e a stare connessa alle persone. Letteratura, cinema, teatro, architettura, design, videogame. Quasi tutti i campi della produzione creativa riescono a intessere un dialogo con il pubblico mentre l’arte fatica ad essere capita, a far parte della vita delle persone, ad essere indispensabile. L’approccio di Documenta, anche partendo da determinate minoranze e marginalità, può rappresentare se non una risposta per lo meno un tentativo in questo senso. Dare spazi a modelli di produzione artistica più comunitari, più vicini ai territori e ai problemi, diversi dal solito e dunque – chissà – più coinvolgenti. Cercando di togliere l’arte da quel cono distanza in cui si è cacciata. Proponendo un’arte radicale, sì, ma non respingente. “Abbiamo avuto il più basso numero di accreditati professionali per i giorni di preview, ma abbiamo il più alto numero di prenotazioni per i giorni di apertura al pubblico” dicono dall’organizzazione di Documenta…

Massimiliano Tonelli

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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