Corpo e performance: la mostra di Cathy Josefowitz a Roma
Al MACRO la prima tappa italiana di “The Thinking Body”, retrospettiva dedicata a Cathy Josefowitz: un excursus sulla sua produzione artistica tra gli Anni Settanta e i Duemila, arricchita da una serie inedita di disegni
La retrospettiva The Thinking Body cita l’omonimo libro di Mabel Elsworth Todd, che ha avuto un forte ascendente sulla ricerca dell’artista svizzero-americana Cathy Josefowitz (New York, 1956 – Ginevra, 2014). Secondo un approccio per lo più tematico, e non strettamente cronologico, The Thinking Body mette in mostra l’abitare il corpo in una personale contaminazione tra arti visive e drammaturgia della danza. Ecco che il corpo “pensante” ‒ come lo stesso titolo suggerisce ‒ si fa relazione con l’altro, con il fuori da sé, decostruendo ogni gerarchia e riflettendo, in termini semantici, sulla sua rappresentazione e sulla sua disfunzionale idealizzazione.
L’espediente performativo è il fondamento della messa in discussione del corpo, nella sua emancipazione quanto nella sua coreografica identificazione nello spazio: una relazione inscenata dallo sguardo femminile, nel quale riecheggia un focus sulla marginalità, tra alterità e genere, nel gioco di potere della visione.
Nella stratificazione di colore e spazio, di forma e contenuto, striscia un perturbante legame fisico-concettuale tra il corpo e la sua transitiva figurazione.
LA MOSTRA DI CATHY JOSEFOWITZ A ROMA
L’imprinting iconico, erotico e disperato della pittura di Bacon qui arriva per intuizione in corpi otticamente volumetrici eppure evanescenti, inafferrabili, inarrivabili. Come ebbe modo di scrivere Philippe Daverio sull’artista nel catalogo Meditation In & Out (2012): “Da Francis Bacon ha preso lo spazio assonometrico e la contorsione dei corpi; da Matisse trae la legittimazione cromatica”.
L’allestimento al MACRO conferma quindi la dinamicità esperienziale di Cathy Josefowitz, laddove tele e disegni dialogano con le installazioni e lo spazio, concatenandosi, facendosi ambiente da attraversare. I dipinti si proiettano così nel white cube ospitante, in una sinestesia tra dimensione pittorica e percezione spaziale, tra corpo umano e animale, tra corpo reale e dipinto, tra animato e inanimato, tra sé e altro da sé, tra artista e spettatore.
In mostra anche un’inedita serie di disegni ad acquerelli e a inchiostro su ricevute di ristoranti e hotel realizzati tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta, anni in cui l’artista visse a Pietrasanta e che testimoniano i suoi itinerari europei.
‒ Rossella della Vecchia
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