I sogni color pastello di Jean-Michel Folon ai Musei Vaticani
Con la sua pittura Jean-Michel Folon ha anticipato temi di grande attualità – come il proliferare della tecnologia e il rapporto sempre più complesso fra uomo e natura – alternando consapevolezza critica e speranza
La poetica di Jean-Michel Folon (Uccle, 1934 ‒ Principato di Monaco, 2005) è fatta di sogni color pastello, di un universo colorato e sincero abitato da Monsieur Quelqu’un, l’omino con la bombetta e il cappotto su cui l’artista proietta la propria interiorità, insieme coi suoi drammi e i suoi desideri.
Folon: l’etica della poesia propone una selezione di ottanta opere, in gran parte inedite, incentrate sulle visioni interiori dell’artista, frutto di profonde domande sulla vita e i suoi meccanismi. La mostra ̶ a cura di Stéphanie Angelroth, Micol Forti e Marilena Pasquali ̶ è articolata negli antichi spazi della Torre Borgia dei Musei Vaticani, dove ciascuna sala accoglie diversi temi frutto dell’impegno civile dell’artista, con opere tese tra la denuncia delle iniquità e la speranza, mai sopita, in un futuro migliore.
L’ATTUALITÀ DI JEAN-MICHEL FOLON
Già dagli Anni Settanta Folon coglie problemi diventati centrali nella società odierna, come quello dell’uomo schiacciato dalla tecnologia e quello della natura oppressa da attività antropiche sempre più sconsiderate.
Protagonista della prima sala è il rapporto complesso tra l’essere umano e la città. Una distesa di grattacieli si sviluppa a perdita d’occhio, come in una giungla urbana in cui gli individui sono ridotti ad automi, tutti uguali, prosciugati nei sentimenti e ormai incapaci di relazionarsi gli uni agli altri. La metropoli moderna è percepita da Folon come uno spazio inospitale e destabilizzante, in cui la perdita delle coordinate è acuita da innumerevoli frecce che si intrecciano e si moltiplicano, indicando simultaneamente tutte le direzioni. Dove andare allora?
L’uomo e la guerra è una sala di spietata attualità, che mostra senza retorica l’insensatezza del male attraverso opere in cui le armi, la morte e la distruzione vengono mostrate con lucida ironia. È il caso dell’acquerello Toujours plus (1983), in cui due mani, simbolo delle potenze di America e Russia, gettano in un acquario delle bombe per nutrire missili che galleggiano come pesci rossi, senza essere però così innocui.
Ampio spazio è dedicato alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che Folon interpreta abilmente nel 1988 attraverso la negazione dei suoi principi, stratagemma volto a suscitare domande utili al cambiamento. “Piuttosto che disegnare ciò che bisognerebbe fare, ho preferito disegnare ciò che si commette realmente nei Paesi contro i diritti dell’uomo”, sosteneva l’artista. Per rendere chiaro questo approccio, le illustrazioni sono accompagnate da pannelli che riportano il contenuto dei rispettivi articoli nelle varie lingue dei Paesi firmatari, esaltandone così il contenuto universale. Tra questi, ad esempio, la raffigurazione dell’articolo 23 dedicato ai diritti dei lavoratori ci ricorda come ancora oggi troppo spesso l’essere umano sia ridotto a un mero ingranaggio di una macchina, in cui perde non solo i connotati, ma anche la sua dignità di individuo.
LA MOSTRA DI JEAN-MICHEL FOLON A ROMA
La mostra rende evidente come l’arte di Folon esplori costantemente il mondo, creando figure-simbolo dal valore universale come Angelo custode, scultura che emerge dall’oscurità suscitando un quieto sentimento di fede e speranza. Ray Bradbury riconosce questa componente quando afferma che Folon dà “risposte semplici a domande complesse” offrendoci “una poesia di parole invisibili”. “Non ci uccide con la sua consapevolezza delle ingiustizie del mondo. (…) Invece raccoglie la stessa energia e la trasforma in una luce che brilla dietro ogni paesaggio, o simbolo o ritratto”. Non a caso il percorso prosegue con le Stanze della Speranza, in cui Monsieur Quelqu’un rivolge il suo sguardo sognante al futuro che vorrebbe, agli orizzonti incontaminati di un mondo in armonia con la natura e con quel grande occhio, entità superiore che pare guidarne il cammino.
Così, passeggiando in sale ricche di storia, tornano in mente proprio le parole dell’artista: “Non creo opere per farle vedere. Le faccio perché esistano. Oggi le scoprite. Il vostro sguardo potrà arricchirle dei vostri pensieri. Vi aggancerete i vostri sogni. Verso le terre sconosciute della lontananza interiore, vi auguro dei bei viaggi”.
‒ Elisabetta Masala
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