Parma riscopre Remo Gaibazzi, uno dei suoi artisti dimenticati

Un artista discreto, che non scese mai a compromessi con il mercato dell’arte. Che ha scontato in prima persona la sua scelta radicale, restando con coerenza ai margini della notorietà. Dopo una lunghissima gestazione, Parma finalmente dedica un’importante mostra a Remo Gaibazzi

Nel 1979 Remo Gaibazzi (Roccabianca, 1915 ‒ Parma, 1994) presentò una serie di opere dipinte utilizzando solo la parola “lavoro”. Fino ad allora l’artista, che aveva esordito realizzando caricature per i giornali locali, si era dedicato alla pratica del disegno, per approcciare in seguito uno stile pop, fondato sulla ripresa di particolari dell’architettura parmigiana, fino ad aderire al gruppo Supports / Surface basato su concetti d’impronta marxista strutturalista. Non casuale, quindi, fu la scelta del termine “lavoro”, inteso sia come verbo sia come sostantivo: “Significante e significato, simultaneamente è atto e risultato dell’atto, è verbo, perciò movimento, e simultaneamente è ciò che avviene in questo movimento”, dichiarò il pittore. Le tre sillabe cominciarono a invadere le superfici che Gaibazzi sceglieva tra diversi materiali: dalla semplice stoffa al plexiglas, dall’acetato ai fazzolettini Kleenex e poi carta, cartoncino, veline. Lontanissimo dalle dinamiche del mercato dell’arte, fu protagonista in vita di alcune mostre locali ma non raggiunse mai quella notorietà che avrebbe senza dubbio meritato: forse non la desiderò mai.

Remo Gaibazzi e la scrittura nelle arti visive. Exhibition view at Palazzo del Governatore, Parma 2022. Photo Luca Busi

Remo Gaibazzi e la scrittura nelle arti visive. Exhibition view at Palazzo del Governatore, Parma 2022. Photo Luca Busi

LE MOSTRE DI REMO GAIBAZZI

Qualche mostra postuma, sempre in un contesto locale, mantenne accesa una lieve fiammella di attenzione sulla figura di Remo Gaibazzi, ma solo oggi Parma gli dedica una retrospettiva di valore in uno spazio pubblico, quello del Palazzo del Governatore, che si concentra sulla produzione dal 1979 alla scomparsa dell’artista. Quella produzione appunto che ruota attorno al “lavoro” e che i curatori hanno scelto di mostrare ricostruendo per quanto possibile i vari corpus realizzati da Gaibazzi per le sue più importanti esposizioni. Dopo un’introduzione sugli acrilici “pop” il percorso prosegue con le opere esposte a Palazzo Dalla Rosa Prati alla fine degli Anni Settanta, per poi ricostruire la mostra del 1981 e quella del 1983 con lavori su perspex rigido o su fogli di acetato, che consentivano all’artista di riflettere sulla trasparenza del supporto e sulla “reversibilità” dell’opera. Dal 1986 Gaibazzi proseguì l’indagine sui colori, tornando soprattutto a supporti opachi e sperimentando quella variazione della superficie resa possibile da una sempre diversa texture ottenuta dalla ripetizione di “lavoro”. È in questo periodo che l’artista parmigiano raggiunse esiti esteticamente altissimi, “forse troppo agli occhi di Gaibazzi, ispirato dalle rigorose riflessioni dei pensatori”, scrive Andrea Calzolari in catalogo.

Remo Gaibazzi, Senza Titolo, 1985 86, particolare, pennarelli e pastelli a cerca su cartoncino, cm 70 x 50

Remo Gaibazzi, Senza Titolo, 1985-86, particolare, pennarelli e pastelli a cerca su cartoncino, cm 70 x 50

LE OPERE DI GAIBAZZI E COLLEGHI IN MOSTRA A PARMA

Tutto questo al primo piano del centralissimo palazzo parmigiano. Al secondo, la prospettiva si amplia agli artisti contemporanei di Gaibazzi e, anche grazie alla preziosa collaborazione con la Galleria Niccoli di Parma, le opere del protagonista sono accostate a quelle di altri esponenti che, nella seconda metà del Novecento, hanno impiegato la parola, o i numeri, per elaborare un originale linguaggio artistico. Non poteva ovviamente mancare Roman Opalka, che condivise con Gaibazzi non solo il segno ripetuto ma anche l’esclusività della scelta, che a molti potrebbe sembrare ossessiva. Ma tanti altri sono gli artisti che possono dialogare con la pratica di Gaibazzi: Alighiero Boetti, Emilio Isgrò, Irma Blank, William Xerra, Vincenzo Agnetti, persino Enrico Castellani se ci si riferisce a fattori quali la ripetizione e il ritmo.
Merita un elogio un altro artista, di cui però in mostra non ci sono opere. Si tratta di Artan Shalsi, che ha firmato l’allestimento: equilibratissimo, impeccabile e curato nei minimi dettagli, il progetto riesce a valorizzare gli ambienti e a concentrare l’attenzione sul lavoro di Gaibazzi. Forse, tra i possibili dialoghi, è quello più efficace, di certo il più consapevole.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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