Arte, memoria, colonialismo e post-colonialismo: intervista a Johanne Affricot
L’arte può dirci dove siamo tra colonialismo e post-colonialismo? Intervista a Johanne Affricot, in occasione della mostra Sediments. After Memory al Mattatoio di Roma
È in corso presso i Padiglioni 9a e 9b del Mattatoio di Roma Sediments. After memory, una mostra a più voci che coinvolge quattro artisti afro-discendenti e un duo di artiste portoricane (Victor Fotso Nyie, Muna Mussie, Las Nietas de Nonó, Christian Offman), mettendo in collegamento Camerun, l’Eritrea, l’Italia, Porto Rico e il Ruanda e facendo riaffiorare le memorie che dai libri di storia giungono fino a noi, mostrandosi ancora come interferenze, intrusioni e tabù della società occidentale. Il progetto, a cura di Johanne Affricot e Eric Otieno Sumba per SPAZIO GRIOT, è in mostra fino al 4 settembre 2022 ed è accompagnato da un ricco programma di incontri. Tra questi, il 12 luglio alle ore 21.15 la performance Sorry, but I Feel Slightly Disidentified…, creata nel 2018 dal coreografo Benjamin Kahn, con debutto nel 2019, per e con Cherish Menzo. Johanne Affricot ci ha raccontato il progetto con questa intervista.
Parliamo innanzitutto della mostra.
Obiettivo principale di Sediments è portare in luce la complessità della nostra contemporaneità attraverso i sedimenti che giacciono al di sotto della superficie liquida in cui tutto sembra cambiare velocemente per tutti. Se come indica Bauman il cambiamento è sempre imminente, i sedimenti, in questo caso le posizioni artistiche e concettuali presenti in mostra, mettono in discussione la sua assunzione.
Da quali riflessioni partire?
Con Eric Otieno Sumba ragionavamo sul concetto di memoria: in particolare su come evidenziare quanto il passato sia ancora prepotentemente presente. E sul concetto di modernità: paradigma entro cui le diverse posizioni artistiche si muovono, interagiscono e si contrappongono. La connotazione liquida della modernità è una medaglia a due facce. I detriti sul letto di un fiume scorrono solo se esiste un flusso; dunque, il presente è liquido; d’altro canto, i sedimenti entrano in gioco proprio per mettere in discussione questa liquidità. Alcune cose sono ancora cristallizzate.
Ci puoi fare qualche esempio?
Basti pensare al tema della cittadinanza affrontato dall’artista Christian Offman in Barocco (2022), la sua istallazione site-specific. La messa in discussione dell’assunto di Bauman si ritrova anche nelle soggettività “post-coloniali” analizzate dallo scultore Victor Fotso Nyie in Identità sospese (2021-22). Victor reclama il rimpatrio della cultura materiale e identitaria africana, saccheggiata durante l’epoca del colonialismo e rinchiusa nelle teche o nelle stanze dei musei occidentali. Anche il duo artistico Las Nietas de Nonó, in Foodtopia. Después de todo territorio (2020-21) affronta dinamiche attuali, si parla di consumismo. Le artiste mostrano il nostro distaccamento sensoriale rispetto al cibo e alla terra che lo produce.
C’è poi il tema della diaspora…
Infatti: l’artista e performer Muna Mussie, in የቦሎኛ ጎዳና Bologna St. 173, Riverberi (Roma) (2021-22), traendo spunto dai suoi ricordi di infanzia, si concentra proprio sulla diaspora eritrea. Dal 1974 al 1991 i Festival di Bologna sono stati essenziali per la lotta contro la dittatura militare e per l’indipendenza del paese, ma erano anche un’occasione per ritrovarsi e “fare festa”. Sediments è il nostro tentativo di far riflettere sul fatto che non esiste una sola realtà, un solo punto di vista, ne esistono molteplici. La memoria è ciò su cui dobbiamo lavorare.
Come si presenta il panorama italiano dal punto di vista dell’emancipazione africana?
C’è da dire che in Italia, rispetto ad altri paesi, esiste un ritardo culturale abbastanza evidente. Non sono mai davvero emerse le complessità. Oggi, soprattutto dopo la morte di Floyd (2020), si prova a stare al passo con quello che succede in ambito internazionale, tentando di fare luce sulle atrocità commesse dall’Occidente. È un timido avanzamento che va accolto con speranza su cui bisogna lavorare costantemente, ma ci sono dei passaggi che andrebbero fatti e che vengono saltati.
Rispetto alla tematica del colonialismo e del post-colonialismo, al tentativo di far affiorare alcuni aspetti storici residuali nel presente, noto una tensione continua e per certi versi a contrasti, tra una tendenza a raggiungere una giusta parità sociale attraverso l’affermazione dell’uguaglianza e una tendenza opposta, che consiste nel sottolineare una diversità di tradizioni, di popoli… Qual è, delle due, la direzione da seguire secondo te?
Tra colonialismo e post-colonialismo c’è un tassello che manca. Se penso ad uno dei miei paesi di origine, ricordo ciò che mi ha detto mio fratello: “uno dei problemi principali di Haiti è che si è passati dalla dittatura (dei Duvalier, Papa Doc e Baby Doc) alla democrazia senza avere un passaggio, una transizione”. Può sembrare una riflessione controversa per chi non ha vissuto le dinamiche di un paese la cui popolazione è per lo più discendente di persone schiavizzate, costrette a lavorare nelle piantagioni, ma rispetto al cambiamento insito nel concetto di modernità liquida, rispetto alla sua velocità, può avere un senso. Quanti momenti sono stati dedicati alla cura delle ferite del periodo coloniale o della schiavitù? Quanto spazio è stato dedicato a restituire dignità? In che modo un popolo sradicato, cresciuto e riprodottosi in condizioni di cattività, è stato accompagnato all’interno di un nuovo sistema, quello dello stato-nazione, con tutte le sue regole e strutture? E come è stato possibile che forme di governo dittatoriale si instaurassero in quei territori per lungo tempo?
Sono ancora molti i passi da fare, dunque ci troviamo in una fase di mezzo…
Sì, quella che stiamo vivendo oggi è una fase di transizione, che può essere anche un po’ confusa, ma, per me, è naturale che sia così. Proprio perché l’Italia è ancora indietro a livello critico, sul discorso del passato coloniale, nonostante si registrino dei grossi avanzamenti nelle ricerche di studiosi e accademici, alcuni dei quali legati ai territori occupati e colonizzati dall’Italia.
Oggi si sente molto parlare di post-colonialismo, ma con la crisi Russia/Ucraina molti sono tornati a parlare di colonialismo…
Senz’altro il colonialismo esiste ancora e non soltanto nella contrapposizione di corpi e soggettività dei cosiddetti Sud e Nord del mondo. Il colonialismo andrebbe visto come un sistema di pensiero, per questo non penso sia un azzardo fare una comparazione tra il Nord e il Sud dell’Italia. Il colonialismo sussiste in tante forme, come nel discorso della cittadinanza, per la quale da trent’anni vige una legge che era già obsoleta all’epoca.
Nel mondo dell’arte si percepisce ancora un’impostazione di pensiero di stampo coloniale?
Purtroppo si. Quando tentiamo di ricavarci degli spazi di rappresentanza, con narrazioni diverse, spesso ci sono persone che pensano che ci stiamo ghettizzando, che siamo troppo presenti con la nostra negrezza. Forse in maniera latente, tuttavia esiste ancora una volontà di esercitare un controllo sui nostri corpi, come accadeva all’epoca del colonialismo o della schiavitù. Questi residui sono scorie che rimangono e che non si riescono a bonificare. I sedimenti della memoria sono utili per tutta la comunità.
Si può dire che questa mostra rappresenti un passo in avanti rispetto ai sedimenti coloniali che restano nella società?
Credo proprio di sì. Siamo in tanti a lavorare e credo che questa programmazione – la prima di così ampio respiro e di così lunga durata per SpazioGRIOT a Roma – sia un segnale importante per la città, per il Paese e per il mondo. Saremo presenti per due mesi al Mattatoio e il fatto che l’Azienda Speciale Palaexpo, il brand Gucci, così come le istituzioni partner (l’American Academy in Rome, la British School at Rome, il British Council, Orbita Spellbound) e il Museo delle civiltà, ci abbiano sostenuti fortemente, è segno che qualcosa, forse, si sta muovendo.
Qual è un ultimo messaggio che senti di condividere rispetto a Sediments. After memory? C’è un auspicio per il futuro?
Con questa programmazione stiamo anche dicendo che è fondamentale avere sul territorio questi spazi, perché oggi noi siamo qui, ma domani? Alle istituzioni cittadine, nazionali e estere, così come al settore privato domando e dico: “continuiamo insieme questo dialogo? Continuate a sostenere la nostra presenza sul territorio”. Vediamo che succederà, intanto porteremo avanti i nostri progetti e i nostri obiettivi per quanto possibile nelle nostre capacità intellettuali ed economiche.
-Francesca de Paolis
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