La storia alternativa dell’Occidente nel progetto sul West americano di Francesco Jodice
La fotografia di Jodice racconta un paesaggio fatto di mitologie e illusioni, la forma fisica del grande sogno americano e dell’intero Occidente. Il viaggio sarà in diretta sul canale Instagram dell’artista a partire da agosto 2022
Comincia nel 2014 il viaggio di Francesco Jodice (Napoli, 1967), nel selvaggio West americano. Seconda tappa nel 2017 e ora, ad agosto 2022, la terza, a conclusione di un lungo progetto che racconta rise and fall di un apparato iconografico che ha cambiato le sorti dell’intera cultura mondiale, attraversando il tempo dalla seconda metà del 1800, alla corsa all’oro, agli esodi per una vita migliore narrati da John Steinbeck in Furore, ai Casinò del Nevada, fino al crollo di Lehman Brothers in una narrazione asincrona e ageografica divisa in cinque nuclei tematici (Il potere dell’atomo; Geologie; Dalla Gold Rush alla Lehman Brothers; So fake so real; Far West). C’è tanto cinema, tanta letteratura, tanta fotografia, in questo progetto. Non a caso, le immagini che l’artista realizzerà avranno due formati fotografici: 10x12cm e 6x12cm, il primo dedicato alle immagini che fanno riferimento alla grande fotografia storica, il secondo richiamando il cinema dei maestri che hanno raccontato il West. Jodice – il progetto è nell’ambito di Italian Council, presentato insieme al MuFoCo di Cinisello Balsamo, ad Arc en Reve di Bordeaux e al Chateau D’eau di Tolosa – attraverserà dieci stati: California, Nevada, Arizona, New Mexico, Texas, Colorado, Nebraska, Wyoming, Oregon, Utah. I risultati saranno presentati il 31 gennaio a Tolosa, in una mostra a cura di Francesco Zanot e Matteo Balduzzi, che approderà successivamente in Italia. Nell’attesa, spiega Jodice, “ho pensato fosse interessante raccontare l’ultimo viaggio nel West tappa per tappa, luogo per luogo, i sessanta giorni di viaggio diverranno un diario di bordo sul mio profilo Instagram in modo tale che chiunque lo desideri potrà seguire attraverso immagini, appunti e mappe questo viaggio e questa storia alternativa dell’Occidente che vorrei raccontare”. L’intervista.
Come nasce la fascinazione per il West americano?
Credo che Gli Stati Uniti rappresentino l’ultimo grande impero occidentale ed il primo impero “deterritorializzato”, cioè un impero in grado di occupare la scena politica planetaria non grazie ad una invasione di truppe ma ad una invasione culturale. Siamo tutti figli della “visual culture” americana. I Western di John Ford, il moonwalk di Michael Jackson, il mito di James Dean e la musica di Beyoncé, le sit-com in stile Friends o i fumetti della Marvel Comics sono parte di un lessico visivo e culturale globale, una koinè comune dalla penisola dello Yucatan fino ai monasteri tibetani. La Pop Culture è stata la grande arma di distrazione di massa di questo impero favoloso e struggente. Il West, luogo mitico ancor prima che geografico, è uno dei propulsori di questo immaginario pervasivo e seducente, parafrasando Wallace Stegner “The West is like the rest of America, only more so!”.
Che ruolo ha il cinema in questo tuo lavoro?
Non tutti sanno che Il grande regista di film western John Ford, autore di capolavori quali Ombre rosse, Sentieri selvaggi e La conquista del West, da giovane aveva realizzato oltre 100 brevi film western commissionati dal governo americano con lo scopo pedagogico di educare i milioni di pionieri giunti nel West ad una falsa storia americana: un mito del West secondo il quale i nativi erano brutali e selvaggi e pertanto, in linea con la teoria del Manifest Destiny, il neonato popolo americano aveva il dovere e il diritto di occupare quelle terre per un evidente volere divino. Il cinema è sempre un’illusione, ma il cinema Hollywoodiano (e quindi per antonomasia il cinema del West) si è sempre preoccupato di fabbricare una mitologia talmente eroica e potente da surclassare e sovrascrivere la storia reale di questi luoghi. Michael Sorkin dice che Los Angeles e il West sono luoghi visibili soltanto attraverso le lenti deformanti dei loro mitografi e Jean Baudrillard scrive: “enter the fiction of America. Enter America as Fiction”. Io sono un artista visivo cresciuto a pane, Coppola e Scorsese, potrei giurare di vivere in una dimensione ubiqua dove realtà e fiction si confondono continuamente.
E la grande fotografia americana?
La fotografia è stata la controparte del cinema: mentre quest’ultimo mitizzava e giustificava il “destino americano” del West, la fotografia delle origini (Carleton Watkins, Timoyhy O’Sullivan, Edward Sheriff Curtis) ha tentato di riportare i paesaggi e i loro primi abitanti attraverso un descrittivismo onesto e prossimo al documento. Il mio lavoro cerca di ibridare queste due filosofie: io documento con ricercata precisione un paesaggio fatto di mitologie e illusioni, la forma fisica del grande sogno americano e per estensione dell’intero Occidente.
Qual è il West che vuoi raccontare e come riattualizzare una epopea mitologica alla luce delle questioni del presente?
In questo terzo ed ultimo lungo viaggio, così come nei due precedenti, userò la fotografia come un setaccio e le immagini saranno i reperti di una storia incredibile dell’Occidente, una storia lontana ma che ci riguarda tutti. Il West è mitologia e pragmatica ad un tempo: le persone hanno immaginato sogni senza limiti e li hanno realizzati e se poi sono falliti li hanno abbandonati alle cure dei deserti che li hanno trasformati in scenografie aliene, concrete ed hollywoodiane ad un tempo, storie che incontrate oggi ci appaiono vere e false contemporaneamente. E la fotografia è la lingua perfetta per questo: una lingua nata 150 anni fa dotata di una intrinseca veridicità alla quale oggi non crede più nessuno.
Tra i temi che tratterai ad esempio c’è una analogia tra il periodo della Corso all’Oro e il crollo della Lehman Brothers….
Da tempo desideravo mettere in scena una visione personale del declino del sistema politico e culturale dell’Occidente. Intorno a questo tema esiste una letteratura fitta ed illustre della quale ad esempio fanno parte volumi quali The short Century di Eric Hobsbawm, The end of history di Francis Fukuyama o Empire di Toni Negri e Michael Hardt. Ma io cercavo un punto di vista diverso che si relazionasse con la fame di benessere immediato che anima da sempre la cultura (economica e finanziaria) dell’Occidente. Ho quindi deciso di usare la storia della corsa all’oro come un costrutto simbolico che potesse esemplificare questo smodato desiderio di ricchezza. Nel 1848 la prima pepita d’oro viene rinvenuta a Sutter’s Mill, lungo il corso di un torrente in California, questo evento genera la più imponente ed epica diaspora planetaria della storia dell’umanità. Nell’arco di pochi anni milioni di cercatori d’oro raggiungono il West americano dai luoghi più distanti, Australia, Europa, Cina, Canada, Sud America, tutti alla ricerca di ricchezze inimmaginabili e immotivate. Ecco, questo desiderio di opulenza immeritata è una possibile sineddoche dell’intera storia dell’Occidente e della religione che da sempre lo abita: il liberismo sfrenato. La seconda data, il 2008 con il fallimento della Lehman Brothers e la grande crisi finanziaria, rappresentano un possibile termine di questa storia fatta di desideri voraci, ci spiega anche in parte come siamo giunti a questo punto, i R.E.M. cantavano How the West was won and were it got us.
La narrazione cinematografica imperialista ci ha raccontato un’America fatta di grandi città cattedraliche, come è invece lo scenario tra una “capitale” e l’altra?
Il West americano è prima di tutto un immenso plateau desertico e inabitato, di tanto in tanto punteggiato da un pulviscolo di cittadine piccole e grandi ma tra di loro gli spazi sono immisurabili. È il deserto che vince sempre, Bob Venturi diceva che le mille luci di Las Vegas visibili da decine di miglia nel deserto non servissero ai viandanti per inquadrarla, ma agli abitanti per convincersi di esistere davvero in mezzo a tutta quella sabbia. Questo è uno dei temi principali del mio progetto: Le sconfinate placche geologiche e desertiche tra una cittadina e l’altra sono state nel tempo teatro di una miriade di esperimenti sul sogno americano: comunità utopiche, parchi a tema, scenografie cinematografiche, grandi casinò, sette religiose, drive-in e naturalmente migliaia di Ghost Towns. La maggior parte di questi sogni sono falliti ed oggi ne puoi incontrare le vestigia come miraggi nel deserto, sono la vera archeologia dimenticata e disperante del fallimento del sogno americano.
Chi sono le icone del West contemporaneo?
Non saprei. Ma nel “mio” West, nel mio racconto, sono le geologie immani ed immote come la Death Valley o l’Antelope Canyon, gli homeless di Venice Beach ultimi sopravvissuti della counter-culture californiana, le centinaia di crateri scavati nel Nevada test site dai testi atomici degli anni Cinquanta e Sessanta e tutti i relitti e le reliquie delle utopie sognate e fallite nella notte del grande sogno americano come la città ideale di Arcosanti in Arizona.
– Santa Nastro
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