Quanto conta il valore nell’arte. La mostra di Cesare Pietroiusti a Roma
The Gallery Apart a Roma ospita la mostra di Cesare Pietroiusti, riunendo opere che vanno dagli Anni Ottanta a oggi. Il fulcro è una riflessione sul ruolo e il significato del valore rapportato alla sfera dell’arte
Si chiama Valori la personale di Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) da The Gallery Apart, progetto di esordio della collaborazione tra l’artista e la galleria romana, che oltre a presentarne la ricerca più recente offre uno sguardo retrospettivo sulle sue opere più oggettuali. Il tema del “valore” è da sempre uno dei punti nodali nella pratica di Pietroiusti – i più ricorderanno la famosa e irriverente performance in cui l’artista sbocconcellava banconote. Cos’è il “valore”? È un simbolo, è una astrazione, è un concetto che ha a che vedere con la sfera umana, è ciò che sta alla base di una transazione, è un sistema di relazioni. Fa perno su quest’ultimo la serie Introduzione, 2022, dove ogni pannello risponde a una parola chiave – valore, proprietà, interesse, dono ‒ a partire dalle quali si apre un diagramma linguistico, di associazioni, negazioni, strade logiche, deviate e senza uscita. A partire dal lemma principale si avvia un dibattito silenzioso tra ciò che c’è di buono e ciò che invece non lo è, entrano la sfera economica e pubblica, la dimensione affettiva e naturalmente ciò che concerne l’arte e lo shift tra convenzioni di mercato e, ancora una volta, l’intrinseco valore artistico culturale. Ma non c’è giudizio, né presa di posizione. L’approccio è quasi di natura sociologica.
I VALORI DA PRESERVARE E DA DISTRUGGERE SECONDO PIETROIUSTI
Diversamente, nell’archivio Valori, 2022, che accoglie all’ingresso i visitatori, si trova un po’ di tutto. Disegni, tracce, schizzi, bozzetti. È come se l’artista avesse portato in mostra un po’ della sua storia. In tal caso la dimensione affettiva la mette in mezzo l’artista stesso, quando invita lo spettatore a prendere per sé un disegno e a distruggerlo nelle modalità ivi descritte. Il tema è: il fortunato spettatore lo farà? Probabilmente no, perché dà valore all’opera dell’artista e gli sembrerà di compiere quasi un sacrilegio. Ma se integro il disegno in sé non vale nulla, perché Pietroiusti non lo riconosce come opera. Il cortocircuito è in atto: nel pezzo di carta che ancora conservo c’era scritto di darvi fuoco. Ammetto che non ho ancora avuto il coraggio di farlo e di esorcizzare la mia paura di ridurre in polvere qualcosa cui do peso.
LE OPERE DEGLI ANNI OTTANTA
Più antico è Mille Lire. Fatevi li cazzi vostri (1988-2018), stampa su alluminio ad altezza busto, dove l’artista recupera la antica pratica di usare le banconote come veicolo di messaggi di pasquiniana memoria o insulti vernacolari o addirittura d’amore, come in Duemila Lire. L’altra metà è con lui (1988), usando il rarissimo cartamoneta da duemila per l’appunto, fino, dello stesso anno, alle cinquemila lire che mettono in classifica i successi di Claudio Baglioni. In mostra c’è anche il residuo di una azione condotta da Pietroiusti alla Biennale di Tirana, nel 2005, tre anni dopo l’ingresso dell’Italia nell’euro: una banconota da 100 euro divorata, defecata e poi inserita in una teca. Quanto vale ora?
I FRANCOBOLLI DI PIETROIUSTI
Sempre nella logica che disarciona dalla sella il nostro comune senso di cosa abbia o meno valore, cosa sia importante e necessario, ma anche il valore dichiarato, reale o quello causato dai saliscendi delle micro e macrostorie (una banconota da 100 euro nel 2005 aveva un valore, nel 2022 vale di meno, ovviamente, ma se è in frammenti ha ancora un valore? E se diventa un’opera quanto costa poi?) si articola il concept alla base dei lavori esposti nel basement della galleria. C’è anche un aneddoto personale, che ha a che vedere con la collezione di francobolli ereditata dall’artista dal padre recentemente scomparso e condivisa più con la nipotina che con il figlio. Oggi che i francobolli, anche quelli da collezione, hanno perso la propria funzione, trasformati come sono in astrazione, resta soltanto la bellezza delle immagini e del mondo offline che raccontano. L’artista li compone e li scompone e da uno in particolare dedicato a Pinocchio del 1954 ricava l’ultimo lavoro esposto. Un piccolo frammento viene ingrandito, riprodotto, si fa opera, il tutto viene analizzato nella sua storia e nella sua assenza. L’intera serie o i singoli pezzi che la compongono (Pinocchio nuovo con gomma, Trieste Zona A, 1954, 25 Lire rosa carminio sovrastampato, I-II-III-IV-V-VI, 2022) hanno un certificato di autentica, ovviamente e come tutte le opere, ma si tratta di un video di nove minuti che fonde nell’anima puramente concettuale del lavoro la storia dell’artista e della sua famiglia. Dando valore alle cose che poi stanno più vicino al cuore, quelle dette, quelle non dette, i sentimenti, le incomprensioni, i ricordi.
‒ Santa Nastro
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