Equilibrio e stupore nelle sculture di Tony Cragg in mostra alla Reggia di Venaria
Innescano un dialogo con la natura e le architetture della Reggia di Venaria le opere scultoree di Tony Cragg. Offrendo una riflessione su ciò che è visibile e su ciò che non lo è
Alla Reggia di Venaria, un corpus di dieci sculture di Tony Cragg (Liverpool, 1949) compone una mostra ‒ curata dal direttore Guido Curto ‒ in dialogo con l’architettura, con la natura, ma anche con il visibile e l’invisibile. In un percorso prevalentemente open space, sculture di grandi dimensioni si stagliano sullo sfondo della Reggia suggerendo un affascinante equilibrio tra storia ed estetica contemporanea.
Lo stupore s’impone immediatamente al cospetto delle prime tre sculture in cui ci s’imbatte all’ingresso della Corte d’Onore. Così come stupefacente è Elliptical Column, il sovradimensionato monolite che dal fondo del Gran Parterre si staglia sul corpo centrale della Galleria Grande: da lontano la sua sagoma svetta verso il cielo, come un’enorme stalagmite aliena che sfida le leggi della gravità terrestre; avvicinandosi si nota, riflesso nell’acciaio lucente, l’ambiente circostante.
L’opera di Cragg è la resa visibile del microcosmo invisibile, di mondi alieni, ma anche di elementi naturali e della stessa struttura di cui è composta la realtà che ospita l’uomo.
“Ci sono molte più cose che non esistono di quelle che esistono”, racconta l’artista, “è come creare un paesaggio completo con tutte le parti al suo interno: c’è il mondo urbano, l’architettura e così via… c’è il mondo organico, c’è l’atmosfera e c’è la struttura geologica“. Karst, esposta nelle Scuderie, appare come un’enorme Rosa del Deserto, mentre, a distanza ravvicinata, il rosso e le nervature suggeriscono crateri e montagne marziane.
LA MOSTRA DI TONY CRAGG ALLA REGGIA DI VENARIA
La ricerca di Tony Cragg invita l’osservatore a fruire d’infinite possibilità, lo sguardo è catturato dalla curiosità e dall’estetica, ma la mente si perde nell’esplorazione delle sinuosità, dei pieni e dei vuoti, di forme che non hanno una lettura univoca. In Cragg la scultura diventa una sintesi compiuta di tutti gli elementi formali di cui questo medium è composto. Runner appare come la sovrapposizione ‒ contraria alle leggi della fisica ‒ di giganti sassolini dello stesso colore del cielo; Early Forms St. Gallen è un enorme ricciolo scuro; Manipulation è una mano che solo vagamente appare antropomorfa. Nel lavoro di Cragg c’è sia l’oggetto, che nella sua consistenza formale rende la compiutezza estetica del manufatto artistico collocato nello spazio, ma c’è anche la sintesi di matrice futurista dell’idea di movimento, in cui l’opera sembra in continuo divenire, poiché si trasforma all’infinito in base al punto di vista dell’osservatore. Lo storico dell’arte Jon Wood osserva che le sculture di Cragg “ci ricordano che alla fine tutto si muove, tutto nel mondo è attivo e in subbuglio e che nulla è veramente statico“.
Il risultato è una mostra in cui il fattore stupore dialoga in perfetto equilibrio con i canoni della storia dell’arte, li sintetizza e li inserisce in un codice afferente allo scenario barocco in cui le opere sono inserite.
– Sirio Schiano Lo Moriello
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