Una performance lunga due anni. Ciriaca+Erre da Matera all’Africa
L’artista italo-svizzera vuole superare con la sua performance “2 YEARS 2 WEEKS 2 DAYS-Homeless, Fearless, Borderless” i confini geografici, sociali e personali, viaggiando dalla sua città nativa alle caverne dove iniziò la storia dell'Homo Sapiens. Al Monte Verità, in Svizzera, spiega il suo percorso
Elevare la vita stessa a opera d’arte. Questo lo scopo della performance 2 YEARS 2 WEEKS 2 DAYS- Homeless, Fearless, Borderless dell’artista italo-svizzera Ciriaca + Erre (Matera, 1973), una esplorazione che mette al centro della propria indagine il superamento (rigorosamente a piedi) di confini geografici, sociali e intimi. Inaugurata nella giornata mondiale della Terra, lo scorso 22 aprile, la performance ha portato l’artista ad abbandonare ogni cosa per tornare ad abitare il pianeta, iniziando un viaggio della durata di 2 anni, 2 settimane e 2 giorni che la coinvolgerà “come artista, donna e madre, in un cammino a ritroso nella storia umana”. Per parlarne al pubblico, il 21 luglio farà tappa al Monte Verità di Ascona, in Svizzera, dove alle 18.30 illustrerà il progetto e racconterà le sue prime impressioni del viaggio – durante il quale l’artista sperimenta il foraging, cioè la ricerca di risorse alimentari selvatiche, avendo sulle spalle solo l’essenziale e una tenda –, che sarà visibile sul suo account Instagram.
LA PERFORMANCE DI CIRIACA + ERRE
Con il patrocinio della Città di Matera (sua città natale), della Fondazione Matera Basilicata 2019 e del Monte Verità di Ascona, Ciriaca + Erre è partita dai sassi materani per poi giungere in Africa, viaggiando a ritroso nel tempo fino a raggiungere le caverne dove l’Homo Sapiens sopravvisse all’Era glaciale: un modo per evidenziare come la migrazione faccia parte dell’evoluzione umana e della sua natura. “Mi sono sempre sentita di non appartenere a una realtà particolare: Matera mi ha portato a esplorare la storia dell’essere umano, la sua natura e la sua evoluzione e la sua (produttiva) involuzione. E poi non si può solo “fare”, un’artista deve essere: deve trasformarsi in ciò che fa”, racconta Ciriaca + Erre ad Artribune. Un percorso sentito come necessario, e in un certo senso inevitabile: “Come diceva Herman Hesse, un lavoro artistico autentico ti porta ad abbandonare le cose più terrene e allontanarti dal benessere della vita. Il mio è un viaggio senza niente, ripartendo da zero e vivendo al cento percento nel presente. C’è al centro un’idea di umiltà che mi insegna a chiedere aiuto: la natura ha reso le donne brave ad accogliere e prendersi cura, ma spesso non ci trattiamo con altrettanta attenzione. Imparare a donarsi erano già al centro di una mia performance, donata al Museo della Permanente di Milano nel 2012: era l’inizio di questo percorso, anche se allora sentivo che non era ancora tempo di lasciare indietro tutto. Ora ho trovato la forza, e mi dò fiducia”.
La performance scaturisce anche dalla volontà di mettere al centro le connessioni tra esseri umani, e tra l’umanità e la natura, in reazione alla dilagante “perdita di umanità” del nostro tempo: “La mia ricerca vuole rispondere a questa perdita, possiamo recuperare la nostra umanità disimparando ciò che sapevamo e affidandoci con umiltà gli uni agli altri, come facevano un tempo i pellegrini, in una più ampia connessione olistica con la nostra casa, la Terra”, racconta l’artista. “Mi ha molto impressionato vedere come, con il Covid, l’idea della separazione e della divisione sia entrata fin dentro le nostre case. Noi siamo “esseri umani”, ma ci stiamo dimenticando dei valori che questo termine contiene: anche solo in guerra, tempo addietro, le persone rischiavano tutto per ospitare ebrei e partigiani. La compassione è ciò che ci contraddistingue come esseri umani e ci fa evolvere: ora cerco questo sentimento nelle comunità piccole, dove non ci sono arrivismo e prevaricazione per avere successo, ma si cresce insieme”. Ciriaca + Erre avanza nel suo cammino incontrando le più diverse comunità – dai buddisti ai creativi culturali –, ognuna con le proprie regole (motivo per cui ha dovuto a volte rinunciare alla propria dieta crudista). La parte più difficile? “Non sapere dove sarò domani, chi mi accoglierà: non è facile. Ci sono anche risposte che ti gelano il cuore: ma è normale, è ciò che dà senso alla performance. E poi il caldo. Come i pellegrini ci insegnano, ci si alza molto presto, alle cinque e mezza del mattino, e si impara a stare nei boschi o fermarsi a lungo”.
IL VIAGGIO DI CIRIACA + ERRE NELLE COMUNITÁ PACIFICHE DEL MONDO
Lo spirito con cui si svolgerà il viaggio è indicato proprio da Hesse, che condivide con l’artista una lunga residenza nel paese svizzero di Montagnola: è sulle orme del suo Siddharta che Ciriaca + Erre vuole radicare questo “viaggio nella consapevolezza”, viaggiando in India, visitando una civiltà cinese in cui il matrimonio non esiste – un richiamo al lungo lavoro dell’artista con i diritti delle donne –, marciando dalla Pagoda della Pace di Londra insieme ai monaci buddisti attivisti e infine spingendosi in America Latina, là dove un paese è giunto ad abolire l’esercito. In quest’ottica di scoperta di sé si colloca la scelta della tappa al Monte Verità al termine del cammino di San Francesco, in un omaggio alla comunità utopica e pioniera che qui si stabilì agli inizi del Novecento. “Gli anni che stiamo attraversando evidenziano la straordinaria attualità delle tematiche che sono state alla base della storia di questo luogo e il progetto di Ciriaca + Erre vi si accosta da diversi punti di vista”, ha commentato la responsabile cultura del Monte Verità, Nicoletta Mongini. “Il ritorno all’essenza originaria non in una dimensione teorica ma pratica e quotidiana, l’essere e non il pensare, evidenziano la prospettiva dell’artista di immergersi in un esercizio di vita che rimanda agli insegnamenti che hanno ispirato la fondazione della colonia dei primi del ‘900”. Un passato di cui l’artista ha consapevolezza, anche se predilige concentrarsi con totale apertura sul presente. Ma non chiedetele del futuro: “Mi chiedono cosa farò tra due anni. Io non so neanche se sarò viva! Ma questo non va temuto: la morte è nostra amica e ci dà il senso della vita, e così anche la libertà, su cui spesso ci concentriamo in modo superficiale. È la nave di Nietzsche, a cui molti preferiscono le catene citate da Seneca. Libertà è vivere il presente, e io vi sono completamente calata”.
– Giulia Giaume
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