Ritratti di donne. Una mostra a Domodossola
Sono Giovanni Boldini, Mario Sironi e Pablo Picasso gli artisti su cui si incardina la mostra al Palazzo San Francesco. Protagoniste sono invece le donne, nel periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento
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Al pianterreno di Palazzo San Francesco a Domodossola, edificato sui resti di una chiesa medievale e ora sede dei Musei Civici Gian Giacomo Galletti, si apre uno spettacolare open space che ricalca il volume originario dell’edificio religioso. In questo perimetro fatto di aggetti e rientranze, scandito da archi e colonne e schermato da un antico sipario raffigurante una scena della città, si snoda il percorso di una mostra ampia e articolata che ci illustra i vari aspetti e ruoli della donna nella società nel cruciale periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento: Nel segno delle donne: tra Boldini, Sironi e Picasso. Realizzata dal Comune di Domodossola in partnership con la Fondazione Paola Angela Ruminelli e il Museo Bagatti Valsecchi di Milano, a cura di Antonio D’Amico e di Federico Troletti, neo-conservatore dei Musei Civici, essa ci offre, attraverso una sessantina di opere esposte, una variegatissima gamma di immagini femminili, specchio di una società in evoluzione e di un mondo in fermento, a cavallo della crisi segnata dalla Grande Guerra.
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Federico Zandomeneghi, Pigrizia, 1890 ca., olio su tela, 55 x 46 cm. Milano, Collezione Gastaldi Rotelli
GIOVANNI BOLDINI E LA FIGURA FEMMINILE OTTOCENTESCA
Ma come iniziare, se non con le donne di Giovanni Boldini? Se ne contano una decina, tra dipinti e disegni, che coprono l’arco di un trentennio a cavallo tra i due secoli. Una femminilità sofisticata e aristocratica, emergente da ritratti ufficiali e agili prove di studio, espressa attraverso pennellate che, composte nei lineamenti, sembrano esplodere in pirotecnie di trine, merletti e increspature. Idolo di perversità e angelo del focolare, indomita operaia e svagata sognatrice: proseguendo il percorso ce n’è per tutti i gusti, anche nell’ambito di una stessa opera: in Amore: discorso primo (1924) di Leonardo Dudreville, troviamo una raffigurazione dello spaccato di un palazzo veneto, nelle cui stanze, aperte alla nostra curiosità, vediamo alternarsi esempi di virtù casalinghe e di peccaminose passioni. Continuando il percorso ecco apparire donne sorprese nelle soffuse atmosfere domestiche di Federico Zandomeneghi; o protagoniste di sofisticati intrattenimenti, tra rutilanti tappezzerie ed esclusivi giardini, nei dipinti di Mario Cavaglieri, in cui un algido snobismo déco cede a impeti cromatici da pittore fauve; eccole contemplative e bucoliche in Estate (1935,) una composizione realizzata in studio e trasferita en plein air di Cesare Maggi. E ancora troviamo una femminilità procace e irriverente nella Ragazza seduta che fuma (1920 ca.) di Vincenzo Irolli; statuaria e ammiccante nel Nudo di donna (1915 ca.) di Giacomo Grosso; malinconica, dignitosa e crepuscolare in Ritratto di Signora (1903) di Emilio Gola. E molto altro, fino a che qualcosa accade, che mette in crisi questo retaggio ottocentesco del fare pittura, ed è allora il turno dei Carrà, dei Modigliani, dei Sironi.
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Giacomo Grosso, Nudo di donna, 1915 ca., olio su tela, 200 x 69 cm. Torino, Pinacoteca dell’Accademia Albertina
LA DONNA SECONDO MARIO SIRONI
A far da contraltare alla presenza soverchiante di Boldini in questa mostra, ecco appunto Mario Sironi. Arriva qualche decennio più tardi, in una mutata condizione sociale e premendo, si può dire, sul tasto di una concezione del femminile del tutto antitetica. Sembrerebbe un confronto impari tra un pittore che delle donne aveva fatto il suo principale soggetto e un altro che ebbe poche occasioni di raffigurarle. Ma anche il cantore delle periferie industriali e degli scarni scorci dei cantieri urbani non manca di pagare il suo tributo all’esaltazione della figura muliebre. A modo suo: sembra che la donna ai suoi occhi non sia altro che un pretesto volumetrico, l’espressione una solidità tutta mascolina: insaccate in ruvidi panni da lavoro squadrati come blocchi di cemento, dai lineamenti tetragoni, ammantate nell’umile eroismo della quotidianità e del duro lavoro, queste figure hanno deposto ogni connotato di volatile femminilità e ci mostrano una realtà sociale di lotte e sacrifici, rispecchiata da una sensibilità artistica rinsaldata su valori di arcaica severità.
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Mario Sironi, Composizione con nudo, 1946 ca., tempera su carta applicata su tela, 28 x 37 cm. Collezione privata
UN PICASSO IN VERSIONE DOMESTICA
E Pablo Picasso? La sua presenza era qui doverosa, lui che tante donne aveva dipinto in innumerevoli quadri, e in guise e pose diversissime, illividite e geometrizzate, matronali e spigolose, mediterranee e totemiche. Ma è una presenza discreta ed elusiva: se una litografia del 1949 ci mostra una ieratica fanciulla che indossa Le corsage à carreux, nel dipinto intitolato Paysage de Vallauris (1958) si può dire che la donna sia niente più che un rumore di fondo, un sentore nell’aria, un presentimento di grazia: in mezzo al paesaggio appare uno chalet, il quale, dietro le finestre chiuse, lascia indovinare quel nonsoché di intimità e affettività domestica che solo delle figure femminili possono custodire.
– Alberto Mugnaini
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