L’ultimo decennio di Mario Schifano è in mostra in Val d’Aosta
Dal 1988 al 1998: è l'ultimo decennio di vita e di lavoro del celebre pittore romano, raccontato in una mostra al Castello Gamba di Châtillon. In occasione – anche – degli ottant'anni del gallerista Emilio Mazzoli
Febbraio 1988: Mario Schifano trascorre tre settimane in un’ala abbandonata dell’antico priorato di Saint Bénin ad Aosta. La notte la trascorre a Pila, dove sono presenti la moglie Monica De Bei e il figlio Marco, che allora ha tre anni. L’8 marzo ripartirà all’improvviso sulla sua Jaguar bianca, alla volta di Milano e Roma, a causa di una questione fiscale da risolvere rapidamente. Nel frattempo, in quella che è una residenza artistica ante litteram, Schifano produce decine di opere, non soltanto destinate alla mostra.
LA MOSTRA DI SCHIFANO AL CASTELLO GAMBA
Dal 30 aprile al 24 luglio, presso la Tour Fromage di Aosta, si svolge la mostra Mario Schifano. Verde fisico, curata da Janus, all’anagrafe Roberto Gianoglio, “motore di un’incredibile e indimenticabile stagione di mostre in Valle” dal 1986 al 1995, come scrive il curatore Davide Dall’Ombra. Sono esposte trentatré tele e sette opere su carta. La Regione acquisì cinque opere prodotte in quel frangente – Calore locale (II), Collinare, Per vedere, Orizzontale e Vista interrotta – che sono ora parte della collezione permanente del Castello Gamba e che in questa occasione sono state allestite nel torrione, da dove si gode di una vista a 360° sulla valle e la sua rigogliosità. Una natura che fu indubitabilmente fonte d’ispirazione durante il soggiorno di Schifano, insieme alla sua eredità archeologica (Schifano aveva lavorato al Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma dal 1951 al 1962), ma che non va intesa come un riferimento diretto e didascalico: “Non me ne importa nulla della natura. Perché nei miei quadri c’è un verde prepotente? Beh, in questo caso il verde non ha un sentimento (come non ce l’hanno mai i miei colori), ma ha un riferimento. È come una forma metaforica”, dichiarava lo stesso Schifano nel 1988 in occasione di una mostra a Narni.
CHIMERA: LA PERFORMANCE A FIRENZE
Sono “anni febbrili e prolifici”, come scrive l’assessore Jean-Pierre Guichardaz, di un “pittore bulimico”, gli fa eco Davide Dall’Ombra. E prosegue: “Gli anni Ottanta avevano segnato un ritorno alla pittura-pittura, spesso fortemente materica, in qualche modo in antitesi con il massiccio uso dell’emulsione fotografica importata dall’America al principio degli anni Settanta […]. Un primeggiare della massa pittorica e della gestualità che lo riconnetteva all’informale, da leggere come un ritorno ai primordi”. Questo stato febbrile e performativo è consegnato alla storia da Chimera, di cui in mostra è raccontata la vicenda in un video efficace e coinvolgente. Siamo nel 1985 e in Piazza Annunciata a Firenze è montato un palco. Di fronte a migliaia di persone, all’inizio tutt’altro che entusiaste, Schifano dipinge una messe di tele che andranno magicamente a costituire un unicum di quattro metri per dieci; un’azione commentata in presa diretta da Achille Bonito Oliva, che ne fa la telecronaca.
SCHIFANO, LA GUERRA E LA PIETÀ FILIALE
Di fronte l’uno all’altro, due grandi quadri aprono la mostra aostana. Il primo è del 1990 e si intitola Tearful (In lacrime). In un processo che ricorda da presso quello messo in atto per una vita da Francis Bacon, Schifano aveva prelevato dal Time del 10 dicembre 1990 una fotografia che ritraeva alcuni militari statunitensi in partenza per l’Iraq. Uno di essi, John Moore, sta piangendo e, accanto a lui, c’è un bambino. Facile l’accostamento empatico e autobiografico, perché quel bambino potrebbe essere Marco, il figlio cinquenne dello stesso Schifano. Dirimpetto, nella grande sala del Castello Gamba, è appeso Sorrisi scomparsi del 1991, il cui titolo è indicato in arabo nella parte alta della tela: volti cancellati richiamano la guerra in Kuwait.
TELEVISIONE E FOTOGRAFIA: L’ATTUALITÀ DI MARIO SCHIFANO
Stacco, scena seguente. Quattro enormi pannelli – come quelli presentati alla Biennale di Venezia del 1993 – si ergono ad altezza considerevole; ognuno di essi è composto da 336 fotografie; ognuna di esse è uno scatto che ferma l’immagine in movimento che scorreva su uno dei tanti televisori che Schifano teneva costantemente accesi nel suo studio; su ognuno c’è un intervento pittorico, a olio e pennarello, qui appena accennato, là più importante, qui a evidenziare appena un tratto, là a ingigantire un dettaglio. “Non sono uno spettatore passivo. Mentre seguo sul video il susseguirsi vertiginoso degli avvenimenti, penso, rifletto, creo. […] Io mi sento come un media”, dichiarava l’artista nel 1990 in occasione della mostra Divulgare al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
EMILIO MAZZOLI E MARIO SCHIFANO
La mostra è organizzata da Casa Testori, che da diverse stagioni propone un’eccellente programmazione al Castello Gamba, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Valle d’Aosta che si appresta a celebrare i suoi primi dieci anni di vita. Ma è anche l’anno, questo 2022, in cui si festeggiano le ottanta primavere del gallerista modenese Emilio Mazzoli, che con Schifano ebbe un rapporto lungo e – naturalmente – complicato, al pari di quanto avvenne con Giorgio Marconi in precedenza. Due tele, che costituiscono un dittico finora mai esposto, raccontano questo legame, interrotto nel 1995 – quando Schifano inizia a vendere le proprie opere attraverso Telemarket – ma che dal 1980 al 1993 aveva originato mostre memorabili. Caro Emilio continua… è datato 1994-95 e le due opere “ritraggono il gallerista nella sua cosmogonia”, scrive Dall’Ombra. Un regalo, una preghiera non esaudita, un ex voto la cui drammaticità emerge soltanto ora, in una mostra raccolta e istruttiva.
‒ Marco Enrico Giacomelli
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