I silenzi dell’artista Prudence Flint
Con un curriculum impressionante per quantità e qualità di esposizioni, dal 1989 a oggi, e per riconoscimenti, di qua e di là dell'Atlantico, l'australiana Prudence Flint si è conquistata una fama intercontinentale di rappresentatrice del mondo femminile
Solo donne – ultimamente con appena qualche inattesa apparizione di un uomo nudo quale timidissimo comprimario – abitano i grandi oli di Prudence Flint (Melbourne, 1962) e ci regalano lunghi sguardi su uno speciale universo in sospensione.
LE DONNE SECONDO UNA DONNA ARTISTA
Chi meglio di una donna può rappresentare le donne? Lo sappiamo bene tutti. E ancor meglio nell’interiorità femminile che nell’esteriorità, anche questo oramai è assodato. Prudence Flint ha cominciato dipingendo la donna qualunque, di aspetto fin dimesso, in tutta evidenza più nubile che maritata, in età apparente fra la trentina e la quarantina, nell’esercizio delle sue attività quotidiane più banali: leggere un libro, lavorare al computer, portare a spasso il cane, fare la spesa, attendere la metropolitana, guidare un’auto, cucinare, semplicemente passeggiare, esercitarsi a suonare la chitarra o l’ukulele, fissare il vuoto. Ecco, piano piano la poetica visiva dell’artista si è affinata sulla rappresentazione del vuoto, esteriore e specialmente interiore (ambienti – fisici e ideali – squadrati ma obliqui), del suo modesto universo femminile.
La ritornante protagonista (che non è lei stessa, attenzione: Prudence – nomen omen? – ritrae un’altra donna da sé) vive la propria narrazione lentamente, con gesti silenti, in scialbo déshabillé e in solitaria cura del proprio corpo, mentre fa il bagno o la doccia, si sveste e si riveste, fa stretching su una sedia. O anche al lavandino, davanti allo specchio: si strappa i peli delle sopracciglia, si lava i denti (e la possiamo osservare inaspettatamente anche mentre ne sputa la schiuma). Si capisce che vive da sola, sempre sola, tranquillamente ma sconsolatamente sola.
LA DONNA SILENZIOSA E SPESSO SOLA DI PRUDENCE FLINT
Questa donna-archetipo, alta, non magra ma neppure davvero corpulenta, dal naso allungato a cercare di annusare il mondo e dalle labbra sottili di chi parla troppo poco, nell’intimità resta in dialogo obbligato con se stessa. Un dialogo che però, s’è visto, si basa soprattutto sui silenzi. Ma a un certo punto questo angusto palcoscenico solitario si anima, diciamo così, di nuove presenze. Arriva un’altra donna, simile a lei. A volte altre due compagne di scena. Rarissimamente, come anticipato all’inizio, persino una figura maschile mollemente spogliata. In tali permanenti silenzi – nessuno interagisce davvero con gli altri, ciascuno resta chiuso in sé – le donne, amiche reticenti, nemmeno si guardano tra loro, non di rado si danno le spalle.
IL DESIDERIO NELLE ULTIME TELE DI PRUDENCE FLINT
Eppure una certa intimità condivisa è evidente: si sdraiano sul medesimo letto, restando volentieri in mutande e reggiseno. Insomma, c’è qualcosa in più fra loro. Ma cosa? Una certa attrazione erotica aleggia, per quanto appaia fortemente soffocata. Spira appena un lesbismo flou. Tutt’altro che sexy, in apparenza. La tensione esiste, ma nessuno lo dice, forse nemmeno si azzarda a pensarlo. Sono racconti austeri di una pudicizia che si vorrebbe tradire: un desiderio di sesso appena affiorante oltre il sipario della tela, a tinte basse, mai accese.
Ma ecco che negli ultimi oli di Prudence Flint esplodono, per quanto ancora muti, sensazionali colpi di scena. C’è una che, ripetutamente, rovescia un’altra sulle proprie ginocchia e la sculaccia compunta. Un gioco? Una punizione? Psicologicamente, la situazione si è fatta spessa. E qui l’eros sta montando, senz’altro.
‒ Ferruccio Giromini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #65-66
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