Carmelo Bene secondo me. Intervista a Rä di Martino
In mostra alla Torre Matta di Otranto, l’artista Rä di Martino si misura con un mostro sacro del teatro italiano. Grazie a una preziosa ricerca nel suo archivio
La ricerca realizzata da Rä di Martino (Roma, 1975) sull’opera di Carmelo Bene, custodita nell’archivio del Convitto Palmieri di Lecce, ha condotto l’artista romana alla creazione de Là dove muore, canta, videoinstallazione esposta nella Torre Matta di Otranto, rifugio del grande attore, regista e filosofo protagonista della neoavanguardia teatrale italiana.
La mostra, curata da Luigi De Luca e Brizia Minerva, è stata inaugurata lo scorso 2 settembre alla presenza dell’artista e della figlia di Carmelo Bene, Salomè. Abbiamo chiesto a Rä di Martino di approfondire le tematiche alla base del suo lavoro di esplorazione e del suo dialogo immaginario con Carmelo Bene.
INTERVISTA A RÄ DI MARTINO
La tua videoinstallazione è ispirata allo spettacolo teatrale di Carmelo Bene su Dracula, intitolato Il vampiro e rimasto incompiuto. Come mai questa scelta?
L’archivio del Convitto Palmieri è composto da tantissime fotografie dei suoi spettacoli teatrali da cui ho poi lavorato per la serie fotografica di Là dove muore, canta, tutti i suoi libri, pieni di annotazioni e post-it, e alcuni taccuini e quaderni di appunti.
I tanti nastri audio non erano leggibili al momento, quindi purtroppo non ho potuto consultarli. Di conseguenza la mia attenzione si è fermata proprio su due taccuini su cui nel 1981 Carmelo Bene ha scritto note e parti di sceneggiatura per un possibile spettacolo teatrale in due atti su Dracula, che lui chiama molto semplicemente “Il vampiro”.
Il percorso di esplorazione dell’opera di Carmelo Bene ti ha portato alla creazione della videoinstallazione Là dove muore, canta. Qual è la sua genesi e com’è strutturata?
L’idea di Carmelo Bene mi ha colpito perché il tema sarebbe stato perfetto e mi stupisce non lo abbia poi realizzato e perché, nonostante la forma casuale, rarefatta e parziale delle annotazioni, si riesce comunque ad avere un’idea chiara di come avrebbe voluto sviluppare lo spettacolo, sia drammaturgicamente che visivamente. Inoltre, anche se sono poche, ci sono già delle battute scritte o quasi, poesie che sono bellissime. Quindi ho selezionato parte dei taccuini per costruire una piccola sceneggiatura che è alla base della mia installazione. A leggere è un Carmelo Bene ricostruito in 3D che vediamo in sette flussi video sincronici: in una sala buia con il suo taccuino rosso in mano, ce li recita lui stesso in un certo senso. La voce è dell’attore Lino Musella, poi rielaborata dal musicista Simone Pappalardo che l’ha resa più elettronica e che ha tratto dei suoni dalla cadenza delle parole stesse. La musica che fa da colonna sonora nasce quindi dalle parole stesse. Qui per me c’è una coincidenza con la frase di Carmelo Bene “Là dove muore, canta”.
L’ARTE DI RÄ DI MARTINO
La tua ricerca, che si articola toccando i linguaggi della fotografia, del cinema e recentemente del teatro, si basa spesso su rielaborazioni, riletture e lavoro su archivi. Per esempio la serie fotografica Open Trees, oppure la serie Play House dedicata ai coloni americani e presentata nel 2018 alla galleria Bonomo di Roma. Cosa emerge nel paragone tra passato e presente?
Mi sono trovata spesso a lavorare su archivi, a volte con delle commissioni nate dall’esterno, come ad esempio con il documentario breve Fuori dai teatri, commissionatomi dal Teatro Era di Pontedera, sulla storia del Piccolo teatro di Pontedera negli Anni Settanta. O, ad esempio, con l’archivio del Piper di Torino. Oppure, come nel caso di Authentic News of Invisible Things, ho lavorato su materiale d’archivio dell’Imperial War Museum di Londra, in particolare sulle foto d’archivio di dummy tanks, i carri armati finti usati durante le prime due guerre mondiali.
Altrimenti, come nei lavori citati Open Trees e Play House, sono io stessa a rielaborare foto trovate, ri-fotografandole, manipolandole e ri-stampandole in modo classico, ma con soggetti ormai irreali. Queste sono opere fotografiche in cui parto da una foto che ritorna a essere foto dopo un processo digitale di manipolazione.
La serie fotografica su Carmelo Bene che ora è in mostra nell’archivio stesso è anch’essa composta di foto fotografate e ri-stampate che ho poi strappato e “ricucito” con la foglia oro.
Ci parli del tuo libro d’artista di prossima pubblicazione, collegato alla tua ricerca su Carmelo Bene?
Il libro d’artista che uscirà per Humboldt Books questo autunno sarà l’ultimo elemento del progetto su Carmelo Bene e l’archivio. Il libro è diviso in due parti: una è dedicata a una selezione di foto sui suoi libri, ho scelto quelli più annotati, pieni di post-it. A volte con frasi e sottolineature, domande. Queste immagini scorrono come un racconto di idee e pensieri su libri sui quali probabilmente avrebbe voluto lavorare. La seconda parte è dedicata al lavoro su Dracula.
– Cecilia Pavone
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