Viaggio nella mente di un artista. Massimo Bartolini al Pecci di Prato
Non è facile indovinare i meccanismi alla base del processo creativo di un artista. Ma la mostra al Pecci di Prato riesce nell’intento. Guidando il pubblico alla scoperta del lavoro di Massimo Bartolini
Hagoromo è il titolo di una nota pièce del teatro Nō giapponese, in cui si racconta la storia di un pescatore che un giorno trova l’hagoromo, il manto di piume tennin, spirito celeste femminile di sovrannaturale bellezza parte della mitologia nipponica. Alla richiesta dello spirito di riavere indietro il manto senza il quale non avrebbe potuto tornare in cielo, il pescatore risponde che glielo avrebbe consegnato solo dopo averlo visto danzare. Partendo da questo riferimento mitologico, Massimo Bartolini (Cecina, 1962) dona il nome alla sua opera più matura, Hagoromo (1982), appunto: all’interno del suo studio, su un palco, un musicista di sassofono fa da sfondo a una ballerina che danza su un parallelepipedo a ruote, con le sembianze di una minuscola unità abitativa. In questa performance l’artista anticipa i temi della sua ricerca: dimensione narrativa, architettura, spazio, teatralità, rapporti tra opposti.
In mostra Bartolini presenta una nuova installazione, la più grande mai realizzata, concepita per gli spazi del Centro Pecci, una sorta di spina dorsale, che consiste in una parete continua di tubi innocenti che si snoda attraverso sette delle dieci sale, trasformandola in uno strumento musicale in cui i tubi diventano delle canne d’organo. Gavin Bryars, esponente della musica di ricerca emersa tra gli Anni Sessanta e Settanta, è il fautore di questa partitura polifonica, in cui ogni melodia corrisponde a una stanza diversa, armonia che agisce in modo differente da individuo a individuo. La “spina dorsale” ci accompagnerà durante tutto il percorso, in un viaggio biografico, quasi psicologico dentro e fuori l’artista.
L’esposizione è una sorta di itinerario circolare, dove lo spettatore si ritrova di fronte a percorsi sempre diversi. Come già detto in precedenza, le opere esposte non sono le uniche protagoniste di questo viaggio, importanza di rilievo è affidata anche al suono in una comunione perfetta che dà origine a una matrice narrativa. I suoni presenti in mostra si spengono simultaneamente per qualche minuto in modo tale da dare valore anche al silenzio. Suono, silenzio e materia entrano a far parte dell’opera amalgamandosi in modo puro e sincero.
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È di grande impatto Basement (2011), l’installazione in cui l’artista realizza un processo di inversione, mettendo in mostra ciò che solitamente sta sotto, la terra, simbolo di nutrimento in natura. L’opera si presenta con un bronzo di una porzione di campo arato, terra dell’Impruneta di Firenze, ritratta nel momento della sua massima purezza, pronta per essere seminata. Alcune delle opere di Bartolini hanno la capacità di evocare uno stato di trance. Conveyance (2003) è tra queste. Rappresenta una sorta di fontana nella quale potersi sedere e da cui fuoriesce una materia quasi algida, minimalista, in movimento, un’onda dalla forma conica che sale e scende, innescando un senso di contemplazione. Ogni intervento che l’artista porta in mostra è fondamentale e necessario per capire passato e presente. Con Untitled – And the Penny Drop (1999-2022) Bartolini, attraverso l’uso di una macchina contamonete modificata per far cadere dal soffitto monete da 50 lire del 1999 e alcuni penny, descrive come quello che era un meccanismo per contare misura oggi il tempo, facendo divenire le monete che cadono a terra come sabbia di una clessidra.
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Giada Fanelli
Giada Fanelli è nata a Lucca ma ha sempre vissuto a Empoli. Si è diplomata al Liceo Artistico ”Leon Battista Alberti” di Firenze e in seguito ha conseguito la laurea in interior design al Design Campus di Firenze. Ha seguito…