Riempire l’arte di sostanza. La mostra di Oscar Murillo a Venezia
Che cosa disegnano i ragazzi tra i 10 e i 16 anni quando sono invitati a esprimersi su una tela vuota? Parte da questa domanda l’opera chiave della mostra di Oscar Murillo alla Scuola Grande della Misericordia. Un’azione in progress, che riporta lo sguardo sulla necessità di essere concreti
In un momento storico che scivola sul piano inclinato del non ritorno – ecologico, politico, economico –, trovarsi di fronte a una mostra che non è vetrina o mero sforzo di muscoli ha un sapore rassicurante. Succede a Venezia, varcando la soglia della Scuola Grande della Misericordia, luogo dalla vicenda singolare ‒ le sue radici architettoniche affondano nella profondità dei secoli, includendo anche l’apporto del Sansovino e l’estetica del Veronese ‒, nonché ex Palasport della città. Restaurato e convertito in spazio espositivo nel 2016, uno dei simboli del sestiere di Cannaregio ospita ora la poetica di Oscar Murillo (La Paila, 1986), intenzionato a portare in Laguna un assaggio della sua pratica transnazionale.
LA MOSTRA DI OSCAR MURILLO A VENEZIA
Distribuita sui due piani dell’edificio, la mostra prende le mosse da Frequencies, progetto che, nell’arco di quasi un decennio, ha coinvolto oltre quattrocento istituti scolastici di tutto il mondo, chiedendo agli studenti fra i 10 e i 16 anni di integrare nelle proprie attività quotidiane il compito di riempire tele intonse con disegni, parole, colori. Il tutto durante un arco temporale di sei mesi e senza alcun vademecum imposto. Il risultato è un archivio di circa 40mila manufatti, divenuti cassa di risonanza del flusso di pensieri, rimandi, urgenze di una moltitudine di individui in perenne trasformazione.
Il piano terra della Scuola Grande della Misericordia fa da contenitore a un lavoro in progress, fruibile in maniera concreta – toccando e “sfogliando” le tele, disposte su tavoli e scaffali, ma anche chiedendo l’aiuto degli Assistenti di Archivio, capaci di identificare le stoffe provenienti da una specifica area geografica, estraendole dalle pile che affollano l’ingresso della Scuola, la cui missione didattica sembra riverberarsi nel presente.
Murillo è la scintilla che ha innescato un processo a catena, senza assumersi i meriti delle implicazioni sociali di un archivio potenzialmente infinito, dal quale emerge la fotografia di un decennio fra i più intricati della storia recente attraverso l’obiettivo di una gioventù su cui si riversano le aspettative (e le frustrazioni) di molti. “I’am an artist, not a social worker”, afferma Murillo, squarciando un velo di Maya che spesso nasconde azioni artistiche tenute insieme da una inclusione di facciata. Nella logica di Murillo esiste una sostanza, ancorata a un lavoro “circolare”, che torna al punto di partenza dopo essersi caricato di significati.
LA POETICA DI OSCAR MURILLO
Per l’artista colombiano tutto trae origine dalla pittura, impiegata per cucire insieme le tele di Frequencies, a comporre i dipinti della serie Disrupted Frequencies: oggetti divergenti e dissonanti, unificati da un pastello a olio blu, che evoca l’acqua, elemento fluido per antonomasia lasciato scorrere per colmare distanze, proprio come accade nella geografia di Venezia.
La pittura, però, non rivendica alcuna egemonia granitica nella pratica di Murillo e diventa suono – la nuova opera Storm from Paradise accompagna l’intero percorso di mostra, trovando forma nelle registrazioni effettuate tra cortili di scuole e campi da basket e rispondendo ai tracking di decolli, atterraggi e traiettorie aeree scelte dall’artista per dare un nuovo senso, ancora una volta, alla mappa del globo. E se la pittura lascia il posto al suono, questo cede il passo alle sculture indossabili di Arepas y Tamales, la cui trama è dettata dai motivi e dai disegni presenti nelle tele degli studenti, selezionati digitalmente, schiudendo la porta alle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale applicate all’archivio decennale – e fisico – sui cui si innesta Frequencies.
Al secondo piano il percorso circolare riporta alla pittura: le tele nere sospese dal soffitto – le stesse che accoglievano il pubblico del Padiglione Centrale nella Biennale di Venezia curata nel 2015 da Okwui Enwezor ‒ fanno da sfondo ai manufatti di Frequencies e ai Flight Drawing, i (di)segni realizzati da Murillo durante i suoi viaggi aerei. Tornano le distanze che dividono e avvicinano, su una cartografia sostanziale, fatta di mondi vissuti, concreti e, appunto, solcati. Gli stessi che convergono nell’arena destinata a ospitare, durante le prossime settimane, un programma pubblico di concerti, danze e dialoghi transnazionali – rigorosamente gratuito – dal titolo Dispersing Towards Being & Becoming Together: Frequential Reconfigurations, frutto della collaborazione fra lo studio di Murillo e SAVVY Contemporary.
Ancora, e per l’ultima volta, lo sguardo si posa sull’attraversamento delle distanze e sul vocabolario della pittura: lo scorcio che completa il secondo piano della Scuola è occupato dal dipinto di nove metri ispirato alle Ninfee di Monet. In quest’opera, esposta per la prima volta, risuona la fascinazione di Murillo per il fatto che il caposaldo dell’Impressionismo soffrisse di cataratta. Un invito a liberarsi della cataratta sociale da cui tutti sembriamo essere afflitti e a guardare il mondo con occhi il più possibile puliti, o perlomeno non eccessivamente appannati, come quelli dell’adolescenza. E il cerchio si chiude.
‒ Arianna Testino
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