Quattro artisti dello Zimbabwe in mostra a Milano
L’arte africana è l’assoluta protagonista della mostra negli spazi della galleria milanese. Una mostra a quattro voci che parla di trasformazione. Fra erotico, eretico, e anche eroico. Da Osart Gallery
Il nuovo focus di arte africana proposto negli spazi della Osart Gallery di Milano è una ricognizione brillante e asciutta su un territorio che mira a rompere efficacemente la tradizione per tradurla e tradirla, dilatarla, aprirla, trasformarla in visione polifonica dove confluiscono non solo vari linguaggi dell’arte – in mostra sono presentati degli “innovatori della scena artistica” – ma anche differenti formule culturali, felicemente ibridate tra loro fino a amalgamarsi e a ricamarsi con spole che si intrecciano per dar luogo a un solo potente filato.
LA MOSTRA DA OSART GALLERY A MILANO
Nei lavori di Linnet Panashe Rubaya (Harare, 1991), Mostaff Muchawaya (Nyazura, 1981), Franklyn Dzingai (Kwekwe, 1988), Wilfred Timire (Harare, 1989) si legge infatti un mixaggio raffinato, una sorta di montaggio – anche temporale e spaziale, oltre che materico – che trasforma ogni opera (che sia pittura, collage o tessuto) in un contenitore di forze, in un dispositivo eterogeneo e sofisticato. Nati tutti in Zimbabwe, i quattro artisti scelti da Richard Mudariki (anche Mudariki è nato in Zimbabwe, a Seke più esattamente, nel 1985, e anche lui è artista prezioso, legato a una ironica pittura di genere – sempre apparentemente schiacciata, priva di profondità cromatica) sono non a caso legati tra loro da un wish (desiderio), da una kuda (volontà) di Shanduko (titolo della mostra) che in chiShona – una lingua bantu supra-dialettale parlata prevalentemente in Zimbabwe – vuol dire modificare, mutare, variare, cambiare, forse anche evolvere e involvere, legare e collegare, intrecciare.
LE OPERE DEI QUATTRO ARTISTI DELLO ZIMBABWE
“Il titolo della mostra”, scrive Mudariki nel testo di presentazione, “indica un cambiamento che è già in atto, che può essere visto come un fattore positivo o negativo, e come tale può essere condiviso o rigettato. È interessante che la sottile distruzione dei mezzi tradizionali messa in atto dagli artisti dello Zimbabwe stia ricevendo un buon riscontro internazionale, diventando un catalizzatore verso le numerose pratiche artistiche che prendono vita in questa terra senza sbocchi sul mare”.
Dalle pungenti e ironiche immagini di Franklyn Dzingai (davvero spigoloso ed erotico il suo erry Barber ‒ Freedom Cut, 2021) alle più cremose immagini di Mostaff Muchawaya o agli impareggiabili arazzi di Wilfred Timire (davvero un capolavoro Mabhiridha, 2022) si va via via a definire un percorso polifonico, impeccabile e asciutto (con Linnet Rubaya entriamo nell’ambito della pittura e di una visione più marcatamente londinese), a tratti erotico, eretico, e anche eroico.
‒ Antonello Tolve
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