La galleria FuoriCampo di Siena cambia sede e punta sulla pittura
È la pittura la bussola che orienta il nuovo corso della galleria FuoriCampo a Siena, che ha cambiato sede proponendo una serie di mostre di breve durata. Per approfondire il ruolo di questo linguaggio artistico oggi
Qualche tempo fa, leggendo i versi della poetessa polacca Wisława Szymborska, ho percepito quanta forza ci possa essere nelle cose infinitesimali. “Il giallo canta / e rispunta il dì”. Ho pensato al potere della suggestione data dall’insieme di queste parole: la personificazione di un colore che, iniziando a farsi sentire, risveglia il mondo. Li ho sottolineati e trascritti sul lato della pagina. Poi ho ripreso da capo la poesia: “Il gallo canta / e rispunta il dì”. No, ho letto male, rileggo: “Il gallo canta / …”.
Le felici rispondenze createsi grazie a quella “i” aggiunta per distrazione si sono dissolte: la “i” non c’è, Szymborska intendeva un’altra cosa, insomma si riferiva propriamente all’animale pennuto.
Eppure qualcosa è successo, quell’inghippo ha creato una visione. Da minimi spostamenti possono emergere grandi intensità. È l’estetica delle piccole cose, che trova in Pascoli un portavoce pregiatissimo: “La poesia consiste nella visione d’un particolare inavvertito, fuori e dentro di noi” (Il Fanciullino).
IL NUOVO CORSO DELLA GALLERIA FUORICAMPO A SIENA
Questo è un ottimo spunto per introdurre la galleria FuoriCampo, che a Siena da anni richiama proprio queste esperienze di ricerca curata, di attesa di opere che parlino d’infinitesimi incanti, del non veduto ma presente. FuoriCampo è fornace di dialoghi, di sedute a discutere di traiettorie, di idee, del sentire. Pecca di autenticità in un mondo in cui si fa tanto per estroflettere e poco per introflettere. È reticente nel creare maschere di cera per perseguire mode, per inchinarsi al mercato, per giocare al gioco che tutti vogliono giocare. Sarà forse il gene di una terra, quella senese, in cui si urla a pieni polmoni il sentimento di appartenenza e dove si attinge a piene mani dal pozzo della spontaneità.
La galleria ha recentemente cambiato sede spostandosi in via dei Termini 44, nella sede della ex ferramenta Voltini, un pezzo di storia nel centro storico di Siena. Nella prima mostra inaugurale c’erano i cinque artisti che la galleria rappresenta: João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Oscar Abraham Pabón ed Eugenia Vanni. Intitolata I Maestri del colore, e pensata da Francesco Carone, di ogni artista è stata esposta un’opera, che si accomuna alle altre per la predominante monocroma della resa estetica. I cinque lavori esposti sono occasioni di attesa, opportunità di contemplazione attraverso il silenzio del colore; essi dichiarano per piccole mosse, delicati accorgimenti che, come una “i” immaginata o suggerita dal contesto, sprigionano indicazioni diverse, prospettive nuove.
Questa mostra si sviluppa in cinque personali, ciascuna dedicata agli artisti della galleria. Ognuna di queste partirà dal monocromo esposto nel capitolo iniziale per poi aggiungere ulteriori lavori, tracciando un percorso completo sulla ricerca di ogni artista.
Ad aprire la serie di mostre personali è stata Eugenia Vanni, a cui è seguito Oscar Abraham Pabòn. È poi stato il turno di Marco Andrea Magni e sarà quello di Mirthe Klück (14-28 settembre) e di João Freitas (1°-16 ottobre).
GLI ARTISTI IN MOSTRA DA FUORICAMPO A SIENA
La mostra di Vanni ha permesso di scoprire quale dose di accuratezza lei abbia nell’indirizzarci alla meraviglia verso la voce delle cose altrimenti mute. I fori dei tarli diventano cielo stellato, i solchi di un tagliere svettano in un paesaggio romantico, i pastelli danno un ruolo a un pezzo di stoffa bianca, l’olio dei motori è alla base di grafiche per rappresentare nudi femminili.
La sua pratica risponde in purezza al tessuto secolare della città che abita, di cui vive con sentimento la profondità storica che risorge nel pulsante trasporto nella Siena di oggi. La radice della storia dell’arte e la lezione del padre artista si uniscono alla capacità di raccontare storie in sordina, di incidere piccoli solchi di diamante nella polvere dei nostri giorni per risvegliare un sentimento eterno.
Oscar Abraham Pabòn è nato a San Juan de Colón, una cittadina venezuelana situata nella catena montuosa delle Ande. La natura qui impera e su di lei continua a fiorire un fecondo stuolo di riti e credenze che ne fanno una dea da amare e rispettare. Per questo il lavoro di Pabòn è intrinsecamente legato al tema ambientale, in una modalità che fa della pianta un interlocutore attivo con cui confrontarsi, dalla cui prospettiva riconsiderare il nostro tempo, dal Modernismo in poi. Altro punto focale della sua arte è l’architettura (che è anche la sua formazione primaria), che si manifesta negli interventi su oggetti d’uso comune, elementi d’arredo, abiti di lavoro, mattoni quale fondamenta materiale e concettuale del mondo abitato, che diventano opere tramite spostamenti ontologici, accorgimenti fisici, interventi surreali e onirici. Così si impone anche il linguaggio della geometria: linee, cerchi, rombi, rettangoli, strumenti di misurazione e forme solide ispirano l’iconografia delle sue opere, facendo della geometria un abbecedario della progettazione e dell’invenzione: non si dimentichi che lui è architetto. Con i suoi lavori Pabòn racconta storie che hanno strettamente a che fare con l’uomo, con le sue costruzioni, con il mondo, e con le loro epifanie e disgrazie, ma con un formalismo sempre attraente, dando all’aspetto visivo una preminenza precisa, diremmo naturale, perché in natura tutto ha una parvenza che accoglie e affascina, innescando il ciclo vitale che consente alla Terra di esistere.
Marco Andrea Magni lavora come alchimista e artigiano, agendo sulle più comuni sostanze che ci circondano per sollevarle verso nuove auree di appartenenza. Non è un salto ontologico – da meno pregiato a più pregiato – ma un cambio di inclinazione, che ci mostra ciò che ci appartiene da sempre come se fosse una novità assoluta che con stupore si osserva. C’è poi come misura di tutte le cose “il nostro stare insieme”: non è artista solitario, ma come foglia caduta sulla superficie di un fiume, nell’andare verso la foce, mette in campo tutto il suo disponibile per sorprendersi del mondo e di chi lo abita: lui accosta materiali per dare prova di uno stupore entusiasta e tenace per la vita e per la terra.
‒ Marco Arrigoni
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