Gentilezza e storia nella mostra di Dineo Seshee Bopape a Milano

Scultura, disegno, suono e video si combinano a materiali organici come argilla, cenere e carbone nelle opere di Dineo Seshee Bopape, artista sudafricana in mostra al Pirelli HangarBicocca di Milano

Sorride spesso Dineo Seshee Bopape (Polokwane, 1981). Circondata dalle curatrici Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli durante la conferenza stampa per l’inaugurazione della sua prima antologica italiana negli spazi del Pirelli HangarBicocca di Milano, Bopape si è presentata agghindata con i coloratissimi abiti Xhosa sudafricani. La sua fisicità, ancora prima delle sue parole non può non aver fatto pensare ad altre presenze di superstar dell’arte, nere come lei, di recente sedute nel medesimo luogo, ma, al contrario di Bopape, poco disposte all’empatia e molto capaci di ammonire.
Pure la mostra è in qualche modo “gentile”: suggerisce riflessioni difficili senza per questo risultare insopportabilmente accusatoria. Eppure Bopape vive a Johannesburg e all’HangarBicocca una delle installazioni più estese è dedicata a allo scrittore afroamericano James Baldwin e alla figura del politico sudafricano Robert Sobukwe (il fondatore del Congresso panafricanista), tenuto prigioniero in isolamento a Robben Island durante il periodo dell’Apartheid.

Dineo Seshee Bopape “Born in the first light of the morning [moswara’marapo]”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Dineo Seshee Bopape “Born in the first light of the morning [moswara’marapo]”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

LE OPERE DI DINEO SESHEE BOPAPE IN MOSTRA A MILANO

Lerole: footnotes (The struggle of memory against forgetting) è composta da materiali organici e media differenti: sono mattoni, ceramica, sabbia, erbe e alcuni giradischi. Quel che colpisce immediatamente è come sia disseminata da piccole sculture in argilla, modellate tenendo il materiale chiuso nel palmo di una mano. Il pugno chiuso: quel simbolo d lotta che veniva sollevato a favore dell’autodeterminazione contro il potere coloniale europeo.
Quella di Bopape è dunque una presa di posizione netta che si affianca a molte altre compiute in questi ultimi anni tra gli artisti neri. Ma in lei appare lontana da ogni volontà di colpire l’ipotetico nemico.
Video e suono – accostati a materiali organici – nella sua opera divengono narrazioni al “femminile” che coesistono felicemente. Nelle installazioni ambientali di cui si compone questa mostra prevale la presenza della terra (suolo proveniente da varie zone del mondo ma non ancora cementificato dallo sviluppo dell’economia capitalista) e quella dell’acqua degli oceani. Il tutto è poi lavorato insieme ad altri materiali quali legno, carbone, cenere, fili d’erba e argilla. Ierata laka le a phela le a phela le a phela / my love is alive, is alive, is alive è ad esempio composta da strutture in legno e roccia che segnano il confine di un cerchio all’interno del quale, su tre schermi curvi, sono proiettate immagini di riprese marine: sopra e sotto il profilo del mare tamburella la mano di Bopape che vi posa frutti, fiori o latte, il tutto accompagnato da canti e suoni esattamente come accade in una cerimonia religiosa. L’opera, che è il risultato di un viaggio intrapreso alle Isole Salomone, in Giamaica, Africa occidentale e nelle piantagioni lungo il Mississippi, diventa per l’artista un’occasione per riflettere sulla sua relazione inter-generazionale con la tratta atlantica degli schiavi: anche in questo caso una presa di posizione netta di un’artista la cui biografia indica un’età relativamente giovane e un tragitto che la vede muoversi dal Durban Institute of Technology in Sudafrica al De Ateliers di Amsterdam per poi raggiungere gli Stati Uniti, grazie a un master in Fine Arts alla Columbia University di New York, e proseguire il giro per il mondo grazie a una serie ininterrotta di residenze, tra le quali ci sono pure gli Appennini toscani.

LA MOSTRA DI DINEO SESHEE BOPAPE ALL’HANGARBICOCCA

Questa “apertura” giustifica Mothabeng, opera che esordisce all’Hangar, un’opera sonora creata con registrazioni effettuate in una cava di marmo: i suoni raccolti echeggiano attraverso sette canali audio e sono accompagnati da una proiezione del profilo dell’artista effettuata a terra su uno “schermo” creato con argilla, pigmenti, gesso terra ed erbe, che innescano connessioni inedite tra organismi non umani.
Bopape ha voluto intitolare la mostra Born in the first light of the morning [moswara’marapo]. La luce qui evocata funge da guida del percorso espositivo: l’osservatore è accolto nella semi-oscurità da opere in cui è centrale l’immagine in movimento – come lerato laka le a phela le a phela le a phela / my love is alive, is alive, is e (Serithi) The rest, as they used to say, is history. Successivamente però la luce naturale che entra dai finestroni disposti su entrambi i lati di questa porzione dell’HangarBicocca illumina le installazioni ambientali e il disegno tracciato sul muro di fondo.
Un’ ultima notazione. L’elemento “femminile” (citato all’inizio di questo testo) che connette territorio e corporeità è evidente in And- In. The Light Of This e in Mothabeng, due grandi strutture a cupola – realizzate con terra, argilla e fieno compressi – che ricordano allo stesso tempo un ventre, un uovo, un seno o una capanna.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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