Una mostra sotto forma di timeline. Eva e Franco Mattes a Modena
Pionieri dell'uso artistico di internet, Eva e Franco Mattes riflettono da sempre sulle implicazioni sociali e culturali dell'uso della tecnologia. Alla Fondazione Modena Arti Visive è in corso la loro prima mostra personale museale in Italia.
La mostra di Eva e Franco Mattes a Modena si sviluppa in orizzontale, con le opere allineate su una lunga pedana che attraversa l’intero spazio espositivo. È un palcoscenico, ma anche, seguendo le metafore suggerite dal suo contenuto, una timeline. I lavori selezionati, secondo quanto spiegato nel testo curatoriale di Nadim Samman, sarebbero stati scelti, “da un misterioso algoritmo” e successivamente disposti in sequenza “dal più visto al meno visto”.
Si tratta di un riferimento al funzionamento delle piattaforme di social networking, un meccanismo totalmente incentrato sull’economia dell’attenzione, all’interno del quale sono solo le metriche a contare: il numero di like, visualizzazioni e commenti. Sopra alla pedana, battezzata Monumento Connettivo (2022) in omaggio al Monumento Continuo di Superstudio (1969), campeggiano una serie di opere che, tutte insieme, vanno a formare un ritratto paurosamente accurato dell’internet contemporaneo.
LA MOSTRA DI EVA E FRANCO MATTES A MODENA
Uno dei temi chiave è rappresentato dalla dinamica tra visibile e invisibile: tra ciò che vediamo sullo schermo e ciò che si nasconde alle sue spalle. Le tecnologie che utilizziamo, infatti, sono tanto pervasive quanto opache, e si fanno ogni giorno meno leggibili, soprattutto per l’utente non esperto: gli algoritmi offrono sempre nuove funzionalità, ma allo stesso tempo salvano informazioni, vendono dati, spiano e controllano. I file che ci scambiamo circolano ininterrottamente all’interno di cavi e onde radio, oppure giacciono muti all’interno di grandi server localizzati in qualche remota parte del mondo, entità massicce e materiali che chiamiamo poeticamente “il cloud”, la nuvola.
È una dinamica raccontata efficacemente dal secondo lavoro ambientale della mostra: Untitled (Yellow Trail) (2021), una canalina portacavi gialla che gestisce tutto il sistema elettrico ed elettronico della stanza, attraversandola come un grande serpente. Le canaline di Circuits (2022), invece, posizionate in due angoli in alto, contengono un groviglio di cavi ethernet e due microcomputer che trasferiscono immagini avanti e indietro, di continuo, per l’intero circuito. Dentro ci sono delle fotografie personali scattate dagli artisti, contenuti che sono fisicamente presenti sotto forma di codice ed energia, ma che restano inaccessibili ai visitatori. Come spiegano gli artisti, l’opera “mette in mostra le immagini contemporanee nella loro forma più comune”, quella dematerializzata e virtuale dei file digitali.
INTERNET SECONDO EVA E FRANCO MATTES
Un altro tema chiave del progetto espositivo riguarda i meccanismi di censura che vengono applicati ai contenuti postati su internet, sulle piattaforme social in modo particolare. Nella serie video The Bots (2020), Eva e Franco Mattes danno voce a una categoria di lavoratori sconosciuta ai più, quella dei moderatori. Nonostante si creda comunemente che l’attività di filtraggio dei contenuti venga svolta da algoritmi di intelligenza artificiale, la verità è che gran parte del lavoro viene invece affidato agli esseri umani. Una forza lavoro sfruttata, spesso reclutata in Paesi poveri e tramite società terze, che è costretta a subire ogni giorno una “cura Ludovico” fatta di immagini scioccanti, violente e pericolose, scegliendo se “cancellarle” oppure “ignorarle”. Le testimonianze raccolte in forma anonima dagli artisti vengono recitate da attori che adottano il formato del make up tutorial, spesso utilizzato online per aggirare i meccanismi di filtraggio automatico e ottenere maggiore visibilità.
La violenza con cui le immagini possono colpirci, la grande potenza che racchiudono, anche nell’epoca della loro massima smaterializzazione, è infine raccontata nell’installazione What Has Been Seen (2017), che ha come protagonista un gatto tassidermizzato con lo sguardo fisso nel vuoto, seduto su una torre di forni a microonde che contengono hard disk formattati. Il felino, un meme cristallizzato nella realtà, in questo contesto diventa la rappresentazione metaforica perfetta dell’utente di internet. Ipnotizzato dal flusso ininterrotto dei contenuti, se ne sta abbarbicato su un’infrastruttura tecnologica instabile, in bilico tra memorie incancellabili e pezzi di realtà che scompaiono senza lasciare traccia.
Valentina Tanni
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