Una mappa degli spazi indipendenti per l’arte contemporanea in Sicilia
Giovane studioso esperto di spazi indipendenti dedicati all’arte contemporanea, Carlo Corona fa il punto della situazione in Sicilia e a Palermo in particolare
La ricerca artistica si è sempre sviluppata al di fuori degli spazi istituzionali, legati a una logica espositiva che celebra più che altro artisti affermati dei quali si vuole amministrare la fama per una sicura ricaduta culturale. A Palermo gli spazi indipendenti pilotano il futuro con agilità e si pongono al centro della scena vitalizzando ciò che, per assenza di project room pubbliche, sembra da tempo immobile. Ne abbiamo parlato con Carlo Corona (Palermo, 1997), la cui giovane militanza lo ha condotto a studiare la situazione dei nuovi spazi espositivi indipendenti in Italia.
Quali sono gli spazi indipendenti in Sicilia e a Palermo in particolare?
Negli ultimi anni in Sicilia e a Palermo c’è una grande attenzione verso l’apertura di nuovi spazi espositivi, un fenomeno che appare ciclicamente nella storia dell’arte del secondo Novecento e che identifica le necessità relative all’emergere di nuovi artisti, idee e valori.
La libertà espressiva di questi spazi, nati in anni recenti, li distingue nettamente dai luoghi istituzionali del sistema, il che permette loro di partecipare attivamente alla ricerca. Da un lato c’è una certa operatività contestuale, dall’altro ritorna l’arte al centro delle riflessioni atte a ridisegnare lo scenario artistico e culturale. In questo senso, i nuovi spazi espositivi aprono nuove vedute collegate alle problematiche sociali, tese a una ridefinizione fondamentale dell’arte in termini di ruolo.
Ci fai qualche esempio in ambito siciliano?
Tra i nuovi spazi espositivi in Sicilia, Viaraffineria a Catania è sicuramente un progetto indipendente da menzionare che promuove e valorizza le ricerche artistiche. È stato fondato nel 2019, la sua direzione è affidata a Giulia Caruso e Maria Vittoria Di Sabatino che ospitano progetti di arti visive e performative attivando, così, collaborazioni sia in Italia che all’estero. Tra gli ultimi progetti realizzati con l’intento di creare una rete con le diverse realtà culturali spicca Sicilia Orientale, un progetto promosso da Untitled Association e concepito sia come mappatura in progress volta a intercettare il fermento delle realtà culturali, sia come piattaforma per la presentazione di ricerche finalizzate all’interazione con la vitalità intellettuale del territorio. Inoltre, sia Viaraffineria che Untitled Association hanno recentemente partecipato alla quarta edizione di Supercondominio a Torino, iniziativa che ha il compito di raccogliere le testimonianze degli spazi coinvolti focalizzandosi sul loro ruolo nel sistema dell’arte italiano. Supercondominio non è soltanto un modo per sottolineare la presenza degli spazi indipendenti all’interno di un micro sistema dell’arte, ma anche di marcare il loro ruolo nella ricerca e promozione della più recente arte italiana e internazionale, così come nella perlustrazione di nuovi schemi di relazione con il pubblico e con le istituzioni.
Torniamo agli spazi indipendenti siciliani.
Sempre a Catania troviamo On the contemporary, fondato nel 2018 da Anna Guillot e dedicato alla cultura visuale, con una programmazione mirata alle ultime tendenze artistiche e progettualità che abbiano una magistrale formazione teorica.
Spostandoci sul versante occidentale dell’isola, a Palermo, la centralità che rivestono gli spazi espositivi ha a che fare con la necessità di ricominciare a ragionare sull’opera. Se ne comprendono le visioni e si tracciano dei passi per dilatare il campo dell’esperienza e per sganciare alcune finalità troppo prevedibili, evidenti e meccaniche legate all’opera. Sulla scorta di molte iniziative nate e intessute nel capoluogo, non bisogna dimenticare la storia di progetti similari. Soltanto per nominarne alcuni: Dimora Oz, Église Art, Haus der Kunst, L’A Project Space, Spazio Rivoluzione, Van Holden Studio… Il quadro che emerge a Palermo restituisce il fermento in atto, e lo si deve molto a queste iniziative: dallo studio di questi luoghi si può seguire lo svolgersi di alcuni processi legati alla produzione giovanile che si è delineata negli ultimi anni.
SPAZI INDIPENDENTI PER L’ARTE IN SICILIA
A quali spazi ti riferisci nello specifico?
Il mio pensiero va dritto alla programmazione dell’attività espositiva de L’Ascensore, fondato da Alberto Laganà nel 2015, la cui direzione artistica è affidata al duo Genuardi/Ruta, che continua a rendere lo spazio-vetrina un luogo attraversato da una densa ricerca che ha reso possibile una reale connessione tra l’Europa e Palermo.
Sempre a Palermo, inaugurato nell’ottobre del 2021, La Siringe è un luogo dedicato alla creazione di ideali reali e fisicamente esistenti. Fondato da Davide Mineo, Gabriele Massaro ed Enzo Calò, La Siringe è un luogo in cui si intessono diverse trame di storia, cariche di energie e temperamenti che lo rendono uno spazio di resistenza che non si pone il problema di scendere a compromessi rispetto a un sistema.
Ancora a Palermo, Parentesitonde è un artist-run space gestito da cinque giovani artisti ‒Francesca Baglieri, Roberto Orlando, Rossella Poidomani, Alberto Orilia, Antonio La Ferlita ‒ e da una giovane curatrice ‒ Ilaria Cascino. È uno spazio giovanissimo nato lo scorso inverno che ha ancora molto da fare e dare, soprattutto perché ha l’energia e la vitalità che un progetto indipendente dovrebbe avere.
A Favignana, infine, Incurva invita artisti internazionali a concentrare lo sguardo sulla cultura siciliana. È un’associazione che mira a rendere la Sicilia occidentale un terreno fertile per la ricerca sull’arte contemporanea, riattivando i suoi spazi pubblici e stimolando il dialogo con le sue comunità locali attraverso una piattaforma per residenze, talk e mostre.
Ciascuna di queste realtà ha delle caratteristiche precise, ce le puoi illustrare?
La Siringe è lo spazio espositivo che ha le caratteristiche fisiche più particolari: a partire dal nome, La Siringe è situato in Via Merlo e fa riferimento alle corde vocale degli uccelli; ma al contempo fa riferimento alla sala prove che occupava l’ambiente, un luogo legato al suono. I resti della precedente occupazione sono visibili non appena si varca l’ingresso, i cubi fonoassorbenti rimasti sul tetto adesso mi fanno pensare a tante stalattiti e all’ingresso di una grotta. Le caratteristiche fisiche de La Siringe sono molto forti ed è uno spazio molto difficile da gestire perché l’artista è portato a vincere lo spazio. È uno stimolo per gli artisti invitati, perché fa capire molto sul modo e sulla capacità di rinnovare l’opera.
Differentemente, L’Ascensore è uno spazio espositivo con una fisionomia di un white cube, conserva sia l’aspetto asettico di un “cubo bianco” che il suo essere luogo di passaggio e di transizione disciplinare, come lo ha definito Brian O’Doherty, di una migrazione concettuale. Lo spazio viene plasmato dall’idea dell’artista, andando ad aprire una fessura nell’ambiente affinché il momento espositivo si configuri come una nuova possibilità della rappresentazione che il tempo dà di sé stesso. È uno spazio di vero confronto critico e di messa in prova del lavoro, dove la funzione disciplinare che emerge diventa un gesto dell’attualità. L’idea di essere una vetrina illuminata 24 ore su 24 rende L’Ascensore un luogo fruibile anche ai non addetti ai lavori durante tutte le ore del giorno.
E per quanto riguarda Parentesitonde?
Dalla sua recente nascita, anche Parentesitonde è molto attivo. È una monoroom che ha ospitato finora tre mostre piuttosto differenti che hanno evidenziato un discreto grado di maturità espressiva in una mescolanza di linguaggi, stili e sperimentazioni differenti e autonome.
È certo il sintomo di una Palermo che c’è e che spinge, quello che emerge è la vitalità di un qualcosa “in possibilità di”.
SPAZI INDIPENDENTI E SPAZI ISTITUZIONALI
Il lavoro di ricerca e di scouting di questi spazi si basa su scambi culturali, inviti e residenze, una attività che permette di porre a confronto linguaggi e ottiche differenti, di instaurare legami e collaborazioni, di avviare progetti comuni che generano scenari inediti. Come avviene tutto ciò a Palermo?
C’è da premettere che la continua formazione nell’ambito influenza molto l’attività espositiva, lo studio rigoroso e la ricerca devono essere il centro per chi intraprende un percorso similare. Solo così il processo di scouting avviene tramite un attendo sguardo critico rispetto alle trasformazioni della scena attuale. Gli artisti vengono selezionati e contattati in base alla qualità del lavoro e alla stima. Sicuramente, durante il percorso di ricerca che ognuno compie, si conoscono non soltanto molte persone, ma anche il lavoro e la riflessione che portano avanti. È questo il punto. La qualità e la stima che si ha di un artista porta a decidere chi invitare. Confrontarsi con uno spazio espositivo che abbia o meno determinate peculiarità è un plus che l’artista possiede per poter fare palestra del suo lavoro, ma è il confrontarsi con la validità contestuale, con gli artigiani, con le visioni e le suggestioni che la città propone a permettere di instaurare una connessione con Palermo. Si tratta di una rete di relazione che sta alla base della comunità ed è anche quello che sta alla base del sistema dell’arte. È un tessuto che si espande progressivamente, sia tramite gli artisti invitati, italiani e internazionali, sia tramite le mostre inaugurate.
Alla lentezza pachidermica delle istituzioni museali spesso si affianca l’esiguità dei budget destinati alla conduzione ordinaria dei musei pubblici, budget troppo spesso esauriti da spese per eventi più orientati su una strategia di consenso che sulla qualità della proposta. Ora non credi che sia arrivato il momento di riformare radicalmente la funzione del museo d’arte contemporanea proprio sulla scorta delle esperienze degli spazi indipendenti?
Quando frequentavo le lezioni di Museologia con Rosario Perricone parlavamo della centralità del museo nella riflessione sui mutamenti dell’antropologia degli ultimi trenta-cinquanta anni. Domandarsi se il museo sia un dispositivo culturale universale, se sia occidentale, se sia coloniale, se sia finito, se sia cominciato, restituisce un quadro complesso che bisognerebbe probabilmente approfondire in un’altra sede. Tuttavia, chiamare in causa il rapporto del museo con il tempo e il divenire nella contemporaneità aiuta a collocare l’importanza museale nella sua giusta dimensione sociale e anche economica. Ho parlato di Supercondominio in merito alla volontà di perlustrare nuovi schemi di relazione con il pubblico e con le istituzioni. Più semplicemente, bisognerebbe cominciare a riconoscere ufficialmente queste iniziative perché, se continuano a nascere spazi espositivi per la città, significa che hanno un’influenza sul territorio. Anche se in Europa e in Italia in alcuni musei d’arte contemporanea il dialogo con la produzione più giovanile esiste da tempo, quello che manca nella riflessione dell’istituzione museale è marcare maggiormente lo scambio con gli spazi off.
Spesso queste realtà sono al contempo vivaci e fragili, agili ed economicamente vulnerabili, come si fa a dare una solidità finanziaria tale da permettere un futuro?
Dalla mia ricerca di tesi, seguita da Daniela Bigi, ricordo l’intenso incontro che ho avuto con Mattia Pajé, co-fondatore di Gelateria Sogni di Ghiaccio a Bologna. Parlavamo dell’autorialità che pervade l’interno di questi luoghi, ma soprattutto della volontà di non esistere più come “gestori”, anche se si sta lavorando per l’arte. Tuttavia questo modus operandi non è capito pienamente dall’opinione pubblica e non è riconosciuto dalle istituzioni. Quando si parla del futuro degli artist-run space e della loro vulnerabilità economica, non bisogna dimenticare che spesso queste realtà sono costrette a morire oppure a resistere all’inverosimile. C’è chi sopravvive con il supporto di privati, di giovani collezionisti e appassionati d’arte, mentre il futuro di altri sarà quello di diventare una galleria, anche se è difficile che questi progetti durino tanto a lungo. Prendo in prestito una frase che mi disse Pajé: “È anche positivo che le cose finiscano”.
Marcello Carriero
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