30 anni di Galleria Continua raccontati in un documentario di Sky Arte
Una sfida tra amici, partita all’inizio degli anni Novanta in un delizioso borgo toscano, è diventata una delle realtà italiane più note al mondo con sedi sparse per ogni continente. Ce ne ha parlato Mario Cristiani in occasione della proiezione del documentario prodotto da Sky Arte
“Perché ce l’abbiamo fatta? Secondo me perché siamo stati folli. Non abbiamo mai fatto un business plan; quando gli artisti ci proponevano dei progetti, erano talmente belli che non potevi dire di no, ti buttavi. Come quando in questo spazio abbiamo fatto un cratere, spaccando tutto il pavimento del cinema. O quando abbiamo fatto Antony Gormley: abbiamo sfondato le pareti per mettere un uomo sdraiato, lungo 25 metri. Opere invendibili […] alla fine il Gormley è finito in Messico, in un parco, il Kapoor a Versailles. Quindi la follia ci vuole e i business plan vanno lasciati a casa”. La follia, la visionarietà, la fiducia nel lavoro degli artisti: sono gli ingredienti di lunga vita professionale secondo Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigillo, che nel 1990 hanno fondato Galleria Continua. Un’avventura unica nel suo genere che, partita dal piccolo e affascinante borgo di San Gimignano, in Toscana, ha conquistato il panorama internazionale, espandendosi con otto sedi in tutti i continenti e capace di chiamare in scuderia i più grandi artisti contemporanei, tra cui Berlinde De Bruyckere, Antony Gormley, Carsten Höller, Anish Kapoor, Michelangelo Pistoletto e altri. Una storia nota a tanti, che è stata coronata da Galleria Continua. The Ability to Dream, un documentario prodotto e realizzato da Sky Arte e TIWI. In occasione della sua proiezione, nella sede originaria della galleria, abbiamo incontrato Mario Cristiani, per farci raccontare di questi anni intensi di Continua.
Con il vostro progetto avete ormai superato i 30 anni di storia. Ma quando si può dire che davvero tutto è partito?
Un anno prima di fondare la galleria siamo andati al Louvre di Parigi, dove era stata appena inaugurata la piramide di Ping Mei. Ho pensato che fosse quello che mancava in Italia, inserire il contemporaneo in un contesto già ricco di storia.
Effettivamente in quegli anni l’arte contemporanea non era un fatto condiviso, non interessava la maggior parte del pubblico. Oggi abbiamo fatto progressi?
Il concetto stesso di progresso è stato inventato dagli artisti, che hanno inventato la prospettiva e il punto di fuga. Il lavoro dell’artista è quello di essere un generatore di tempo, collega il gesto dell’immediatezza al lungo periodo. L’artista vive in uno stato costante di incertezza ma cerca l’assoluto.
E a proposito di artisti, come è stato possibile per voi far arrivare grandi nomi internazionali del calibro di Anish Kapoor, Antony Gormley, Michelangelo Pistoletto e Marina Abramovic a San Gimignano?
Ci sono arrivati grazie all’Associazione Arte Continua, quindi a un’attività no profit. Sono venuti per fare progetti con le città, poi sono rimasti in galleria.
Ci spieghi la differenza tra la galleria e l’associazione?
Abbiamo fatto nascere due realtà molto differenti: la galleria è un’attività che produce cultura e vende cultura, mentre l’associazione cerca di fare in modo che ci sia un incontro tra la parte pubblica e quella privata. La galleria ovviamente non può essere finanziata da un Comune, ma un’associazione che crea e sviluppa progetti per il territorio sì.
Quando nascono?
Sono nate nello stesso momento sempre nel 1990. Per me la galleria è funzionale a un progetto sociale, portato quindi avanti dall’associazione.
E come interagisce il territorio con l’associazione?
C’è stato un periodo in cui ogni Comune avrebbe voluto creare il proprio museo di arte contemporanea, ma musei così grandi per territori così piccoli rappresentano una scelta poco sostenibile, più i costi che i vantaggi. Un’attività come quella dell’associazione, invece, permette anche alle piccole realtà, e soprattutto ai giovani che la abitano, di non sentirsi tagliati fuori dal circuito dell’arte.
Ci puoi dire qualcosa di più?
Associazione Arte Continua è un’attività profit che reinveste su progetti e meccanismi più allargati. L’obiettivo è diventare l’agente attivatore di un distretto. Lavorare alla nascita di un distretto artistico in cui l’attività del territorio sostiene le attività culturali diminuendo il potere della politica.
Però il settore pubblico è stato più volte fatidico per i progetti dell’associazione.
Abbiamo cercato una vera alleanza con il pubblico. All’inizio percorrevo l’Italia da nord a sud in macchina, facevo 120 mila chilometri per portare i cataloghi delle nostre mostre in piccoli paesi d’Italia chiedendo loro di finanziare i progetti d’arte.
Avete otto sedi sparse su cinque continenti. Le grandi emergenze globali (dalla crisi economica a quella energetica a quella pandemica ecc) possono porre un freno a questo modello globale di galleria? Lo avvertite come una minaccia?
Non credo, perché ogni sede vive una propria vita e una propria identità. Ognuna espone artisti diversi, non si tratta di white cube ma di luoghi ben diversificati portatori di storie. Ha una dimensione locale che crea valore per l’intero territorio.
Quindi quando aprite sedi all’estero riuscite sempre a coinvolgere le istituzioni locali?
Non come qui chiaramente. È diverso il contesto in Cina ad esempio, con cui è più difficile instaurare rapporti. Tuttavia, quando riusciamo a portare buoni progetti come galleria creiamo un impatto positivo su tutto il territorio. Quando lo facciamo come associazione cerchiamo di sviluppare dei progetti no profit di stampo sociale. L’obiettivo è sempre quello di valorizzare il territorio.
Tanti modelli in un unico luogo. Quando avete aperto la sede di Parigi, vendendo arte nello stesso spazio di salami e alimenti, volevate dimostrare che realtà differenti possono coesistere?
L’abbiamo fatto per raccontare la nostra storia. Veniamo da un territorio di eccellenze enogastronomiche e abbiamo sempre unito importanti momenti di convivialità alle inaugurazioni delle mostre. Città, campagna, territorio e buon cibo: questa è l’Italia e questa è la nostra identità, che portiamo nel mondo.
Progetti o speranze per il futuro?
La mia speranza è quella di lasciare alle generazioni future qualcosa che possa durare mille anni, così come le torri di San Gimignano.
Giulia Ronchi
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