Sacro e contemporaneo nelle nuove opere di Karin Kneffel a Roma
Gioca sul confine tra sacro e profano la pittrice Karin Kneffel, che da Gagosian a Roma “spoglia” vergini e santi delle loro virtù e lascia emergere la componente umana
Il nuovo corpus di opere di Karin Kneffel (Marl, 1957) affronta la figura umana, riprendendo e rimodulando le sculture religiose del Rinascimento nordico. Sebbene queste immagini rimandino a un contesto sacro, la pittrice spoglia vergini e santi da ogni titolo e iconografia per acuire lo sguardo sui loro volti e le loro espressioni. Ed è proprio nei grandi primi piani ospitati nella sala ovale della galleria Gagosian che troviamo le tracce di una nuova ricerca e l’eco delle sue famose nature morte. Ne abbiamo parlato con lei.
INTERVISTA A KARIN KNEFFEL
Cosa hai provato nel tornare a Roma a venticinque anni dalla tua residenza all’Accademia Tedesca di Villa Massimo?
Fu a Villa Massimo venticinque anni fa che cominciai a dipingere nature morte. All’epoca gli sfondi erano piatti e monocromi, così ho deciso di rivisitare le nature morte per la mostra in corso a Roma. Ciò che è cambiato sono proprio gli sfondi, che oggi sono paesaggi e cieli generici ‒ combinando più di una prospettiva temporale ‒ come il giorno e il tramonto. Ho preso questa decisione insieme alla galleria per mostrare questa nuova serie nella Capitale perché i dittici donna e bambino traggono una specifica energia dal contesto estetico e religioso della Roma barocca, incorniciata dalla spettacolare geometria moderna della galleria di Gagosian. È una situazione davvero unica.
La tua ricerca artistica si è da sempre concentrata sul rapporto tra pittura, spazio e tempo, attraverso le stratificazioni e la ricombinazione di oggetti, luoghi e memorie.
Dipingo immagini che sono del tutto impossibili. Anche se molte delle mie fonti esistono – come ad esempio le sculture in legno scolpite e dipinte del primo Rinascimento europeo ‒, i soggetti dei miei quadri sono prima di tutto superfici altamente artificiose, con cui evidenzio la capacità unica della pittura di produrre e distruggere simultaneamente le illusioni.
Le stratificazioni di colore sono tanto fondamentali per la resa del quadro quanto necessarie per la profondità che l’opera assume. Cosa si cela dietro alle velature dei volti di Face of a Woman, Head of a Child?
La tecnica pittorica che ho sviluppato nel tempo si muove tra materializzazione e smaterializzazione.
Ovvero?
Su una tela a fondo multiplo applico fino a quattro strati di pittura a olio. Ogni strato copre l’intera superficie, come un velo. La mia gestione del colore, della texture, della forma e dello spazio è simile ai giochi visivi e agli enigmi propri della pittura rococò e manierista, ma saldamente radicata, formalmente e concettualmente, all’interno delle informazioni vernacolari del mio tempo. Ogni dipinto comprende strati di pittura a olio trasparente e luminosa che applico con un piccolo pennello, indipendentemente dalla scala del dipinto. Le tonalità delle sculture originali del primo Rinascimento su cui si basano queste opere variano ampiamente a seconda delle culture a cui appartengono, quindi gli strati di colore sono costruiti di conseguenza. Ad esempio il sottofondo turchese corrisponde alla tavolozza settentrionale, mentre il sottopelo arancione denota la carnagione più calda dei soggetti meridionali.
RELIGIONE E REALTÀ SECONDO KARIN KNEFFEL
Le figure sono prelevate dal loro contesto religioso per essere catapultate in una dimensione umana, reale. Una volta decontestualizzate, qual è il rapporto che intercorre tra i soggetti?
Ho secolarizzato queste figure sacre del primo Rinascimento modificando tutti i dettagli identificativi, i titoli e l’iconografia per concentrarmi esclusivamente sulle loro caratteristiche facciali. Zoomando sui miei soggetti ‒ prima con la mia macchina fotografica e poi al computer ‒, ho ritagliato e ingrandito i loro volti, prestando molta attenzione alle qualità materiali delle sculture originali. Cerco di catturare il gioco della luce in superficie, evidenziando le forme tridimensionali e le decisioni stilistiche dello scultore originale e del fassmaler (ovvero il pittore artigiano), oltre a onorare i segni inflitti dal passare del tempo. Sono il terzo artista nella relazione, per così dire! Enfatizzo le caratteristiche idiosincratiche di ogni donna e bambino, aumentando il loro senso surreale di artificialità attraverso le imperfezioni ed eccentricità anatomiche. Interrogando l’iconografia religiosa, presento le sculture come oggetti tridimensionali altamente soggettivi, carichi di vitalità, attraverso il contorno pittorico e il colore: lo sguardo tenero e protettivo di una donna o il rossore della guancia di un bambino, come una mela matura. Infine, ho strutturato i ritratti in coppia di donna e bambino in modo che i loro sguardi siano separati piuttosto che uniti, destabilizzando il legame emotivo.
All’interno della nuova serie è presente anche una coppia riconducibile ‒ per tratti ed espressioni ‒ all’età moderna. Cosa hai voluto sottolineare con questo gesto?
Tra gli accoppiamenti storici ci sono una giovane madre e un bambino della mia cerchia familiare che sono emblematici della Germania più diversificata di oggi. Accostando i ritratti del mio contesto e della mia comunità a quelli della storia archetipica, propongo ritratti, rappresentazioni e legami familiari come elementi di un dialogo persistente nella vita e nell’arte. In questo singolo dittico, il mio approccio è molto diverso.
Spiegati meglio.
Sia la donna che il bambino guardano candidamente fuori dalla tela come per coinvolgere direttamente lo spettatore, a differenza delle pose indirette assunte dalle icone storiche. Le figure che dipingo oscillano avanti e indietro tra realtà e raffigurazione; le somiglianze delle sculture storiche diventano più reali e realistiche delle sculture stesse mentre, al contrario, la donna e il bambino contemporanei appaiono più come icone religiose.
Valentina Muzi
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