Dipingere la gioia. La mostra di Raoul Dufy a Roma
A Palazzo Cipolla va in scena la prima mostra italiana dedicata a Raoul Dufy. Oltre 160 opere fra dipinti, disegni, illustrazioni, incisioni, scenografie e bozzetti per la moda
La ricerca costruttiva data dall’uso del colore e la tendenza a opporsi al decorativismo edonistico dell’Art Nouveau sono alla base della ricerca pittorica di Raoul Dufy (Le Havre, 1877 – Forcalquier, 1953). L’artista si avvicina al gruppo dei Fauves ‒ cioè “belve” ‒, termine coniato con intenti denigratori da Louis Vauxcelles, critico d’arte del Gil Blas, in occasione dell’esposizione del Salon d’Automne del 1905, anno in cui, fra l’altro, attorno a Henri Matisse si riuniscono molti altri artisti. Come sottolineato da Giulio Carlo Argan in L’arte moderna 1770-1970, questi artisti erano accomunati dal voler affrontare criticamente una serie di problemi specificatamente pittorici e “risolvere il dualismo di sensazione (il colore) e di costruzione (la forma plastica, il volume, lo spazio) potenziando la costruttività intrinseca del colore, inteso come elemento strutturale della visione”.
RAOUL DUFY IN MOSTRA A ROMA
Sulla base di questi aspetti si inserisce la produzione di Dufy, approfondita dalle tredici sezioni tematiche della mostra al Palazzo Cipolla di Roma. Influenzato inizialmente dall’Impressionismo e dal post Impressionismo di van Gogh e Cézanne, l’artista francese ampliò la sua ricerca con diverse tecniche: dalla pittura alla xilografia, dalla ceramica ai tessuti, fino a comprendere le illustrazioni, come nel caso della prima raccolta di poesie di Guillaume Apollinare, Bestiario o il Corteggio di Orfeo del 1911; ma anche scenografie e decorazioni. Le oltre 160 opere, provenienti da collezioni come quelle del Musée d’Art Moderne di Parigi, del Centre Pompidou, del Musée des Tissus et des Arts Décoratifs di Lione, del Musée des Beaux-Arts Jules Chéret di Nizza e del Musée Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles, evocano la biografia e l’opera di un artista con lo sguardo sempre rivolto alla contemporaneità.
La modernità dei paesaggi dipinti da Dufy, quell’invenzione compositiva e cromatica strettamente antinaturalistica, tesa a una libertà totale nell’uso del colore, diventano man mano esasperate e sintetiche: le figure umane in lontananza si riducono a sagome, macchie sommarie che portano alla mente i dipinti di Toulouse-Lautrec, quei personaggi che popolano la Parigi notturna, corpi ritratti nella loro immediatezza, perennemente illuminati dalle luci artificiali del palcoscenico che Dufy coglie ed elabora anche quando ritrae gli scenari mediterranei durante la permanenza in Sicilia, attraverso un cromatismo acceso e arbitrario, di linee sottili e arabescate.
IL COLORE SECONDO RAOUL DUFY
Come sottolinea Piero Adorno in L’arte italiana, il linguaggio di Dufy “ha anzi una ‘civiltà’ tutta francese, una purezza di segno che, dopo la fine del fauvismo e l’accostamento al cubismo, comune a tutta la cultura artistica fra la fine del primo e il secondo decennio del secolo, si andranno accentuando, a partire circa dal 1920 fino agli ultimi anni”.
L’esigenza tutta personale di Dufy di usare i colori vivaci in cui combina pennellate dense e direzionali segna il voler evadere sul piano psicologico dalla drammaticità della vita contemporanea, duramente segnata dalle due guerre mondiali, attraverso il sogno della bellezza e della gioia date dall’arte. Riscattare, quindi, con nobiltà artistica i processi di produzione in serie, facendo emergere la funzione primordiale dell’arte in tutti i suoi aspetti attraverso un forte coinvolgimento emotivo in cui la dimensione concreta è annullata lasciando il posto all’espressione esclusiva dell’io dell’artista, alle suggestioni emotive prodotte dalla percezione della realtà di cui l’interprete assoluto è il colore. Dufy in un suo appunto scrive che “nella pittura l’elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori”.
Fabio Petrelli
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