Di visioni e visionari. Sabrina D’Alessandro ricorda il gallerista Pio Monti
Le mostre, i progetti realizzati, i sogni rimasti nel cassetto, la vita con gli artisti. L’amore per le parole, per le sfide impossibili, per l’incontro con l’altro. La fondatrice dell’Ufficio Resurrezione Parole Smarrite racconta Pio Monti
Quando ho conosciuto Pio aveva già aperto Idill’io arte contemporanea, una bella vetrina nella piazza principale di Recanati, di fronte alla statua di Giacomo Leopardi. Abbiamo percepito come sincronicità le nostre manie riguardo eternità e resurrezioni e abbiamo così iniziato a sentirci quotidianamente, lavorando fin da subito a stretto contatto. Era molto sensibile alla poesia Pio, è stato probabilmente l’essere umano più ludico e poetico che abbia mai conosciuto. Si definiva “un mercante incolto e privo di sentimenti delicati” e poi quando conosceva qualcuno di nuovo, chiunque fosse, arrivato il momento di salutarsi, gli stingeva la mano, lo ringraziava e gli diceva che dopo quell’incontro la sua vita sarebbe stata migliore. Il suo modo sempre sorprendente di agire e di parlare lo rendeva irresistibile. Anche quando si incapricciava per qualcosa. Chi l’ha conosciuto da vicino, o anche meno da vicino, sa che era capace di telefonare cinque, sei, dieci volte al giorno quando voleva realizzare un’idea. Muoveva “mari e Monti” per riuscirci; sapeva essere testardo, insistente, insopportabile quanto amabile perché in fondo, nonostante scalpitasse “come un capretto nel recinto”, i suoi non erano capricci, bensì visioni.
PIO MONTI E IL DOPPIO GENETLIACO
L’11 agosto 2019 organizzammo a Recanati Noverar le stelle, una mostra ispirata alla notte di San Lorenzo e alle teorie paleoastronautiche secondo cui l’uomo discende dalle stelle. C’erano gli alieni di Tommaso Lisanti, i ritratti immortali del DNA di Claud Hesse e il primordiale meteorite riesumato dall’Ufficio Resurrezione, la Pietra Sbagliona. L’11 era anche il giorno del compleanno di Pio e del suo maestro di pianoforte, Adamo Angeletti. Pio amava questa coincidenza non casuale del doppio genetliaco e, nonostante non fosse un pianista provetto, la forza del desiderio e l’entusiasmo per le sincronicità lo motivarono a studiare con grandissimo impegno. Voleva suonare il Chiaro di Luna di Debussy in onore di Leopardi, il poeta che parlava alla luna. Affittò un pianoforte a coda che occupava quasi tutta la galleria, ci riuscì e la vera opera fu quella. Nei giorni lo spazio iniziò a riempirsi di studenti, maestri e appassionati che attendevano il proprio turno per suonare. Pio riusciva a creare bellezza perché metteva in cima il sogno.
IL SOGNO DELLO SPAZIO PIO A MILANO
Poiché Leopardi oltre che poeta fu fine linguista, da Idill’io inaugurammo anche una mostra in cui aprì la Succursale di Recanati dell’Ufficio Resurrezione e poi, nel 2020, Pio iniziò a pungolare per aprire una nuova galleria a Milano. Immaginammo uno spazio speciale gestito anche dagli artisti, in cui per essere seri nessuno poteva prendersi troppo sul serio. Un luogo per l’Arte concepito su logiche emotive. Pensando a quel che nel bene, o anche a volte anche nel male, lui rappresentava nella storia dell’arte, al suo approccio sempre e comunque veritiero, gli avevo proposto il nome “Spazio Pio”. Si innamorò di questa idea. Venne a Milano diverse volte, ma all’improvviso arrivò la pandemia. Durante i mesi di confinamento, instancabile, si dedicò al libro dei suoi 50 anni di vita nell’arte, dal 1969 al 2019. Chiamava sempre per un confronto su struttura, grafica e impaginazione. Aveva scelto il titolo Orecchio da mercante.
L’ARTE E LA LEZIONE DI PIO MONTI
Ha sempre avuto naso Pio. Grazie alla sua curiosità insaziabile e alla sua lucida follia riuscì a entrare in contatto profondo con artisti come Gino De Dominicis, Jannis Kounellis, Alighiero Boetti, Mario Merz e molti altri, costruendo grandi cose fin dagli anni ‘70. I tempi poi sono cambiati. Pio diceva che il mercato aveva trasformato il mondo dell’arte, che le persone collezionavano non più per passione, ma solo per speculazione. Non che fosse disinteressato al denaro, tutt’altro, ma era un generoso e lo usava piuttosto per investire sui progetti. Famoso è l’aneddoto secondo cui vendette due appartamenti per comprare la Mozzarella in carrozza e Il tempo, lo sbaglio e lo spazio di De Dominicis. Semplicemente lo rattristava il fatto che la spinta a comprare arte non fosse più la fascinazione, il sogno, anche solo la promessa di “eternità”. Tutto questo lo contrariava, ma non lo scoraggiava. Ha sempre continuato a cercare di realizzare quello in cui credeva. Penso che sia questo il grande esempio che ci ha trasmesso. Non lasciarsi sovrastare e avere sempre “un forte debole” per la propria verità. Per lui, nel cuore di chi gli ha voluto bene ci sarà sempre un interminato spazio Pio, con uno Steinway che suona alla luna.
Sabrina D’Alessandro
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