Dal cioccolato all’arte: a Varese la mostra della collezione di Marli Hoppe-Ritter
Il suo nome è legato a una delle fabbriche di cioccolato più note al mondo: la Ritter. Eppure a meritare attenzione è anche la sua raccolta d’arte, avviata a partire da opere a forma quadrata, come la celebre tavoletta di cioccolato
Marli Hoppe-Ritter colleziona opere d’arte dagli Anni Ottanta, ma è dall’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso che il suo interesse si è concentrato sul tema della forma geometrica del quadrato. Con l’aiuto del marito Hilmann Hoppe, nel corso degli ultimi trent’anni è riuscita a raccogliere circa 1200 opere geometrico-astratte del XX e XXI secolo. Dal 2005, con l’apertura del Museo Ritter a Waldenbuch, vicino a Stoccarda, la collezione ha trovato una sede prestigiosa e conosciuta a livello internazionale. Progettato e realizzato dall’architetto svizzero Max Dudler, il museo ha naturalmente una forma quadrata e si trova accanto alla fabbrica di cioccolato di cui Marli Hoppe-Ritter è comproprietaria. Un’azienda fondata nel 1912 dai nonni e che deve la sua notorietà all’idea di Clara Ritter, la nonna, di creare una tavoletta di cioccolato quadrata che stesse comodamente nelle tasche degli sportivi.
LA COLLEZIONE DI MARLI HOPPE-RITTER
È la prima volta che una selezione di opere della collezione esce dalla Germania e su invito della Fondazione Marcello Morandini sono esposte fino al 16 aprile 2023 a Varese.
“Da sempre sono stata attratta dall’arte, mio padre collezionava quadri del periodo romantico. Ho condiviso la passione con mio marito e dagli Anni Ottanta ho cominciato ad acquistare opere non appartenenti all’arte astratta o concreta. Alla fine del decennio è nata l’idea di collezionare qualcosa che avesse a che fare con il quadrato, una forma che ci lega alle tavolette di cioccolato prodotte dalla mia famiglia. Ho cominciato a vedere mostre dove erano esposte le opere di Camille Graeser e ho iniziato a capire che il quadrato aveva una grande tradizione nella storia dell’arte, basti pensare a Malevič. Aiutata da consulenti, ho acquistato un’opera del pittore russo risalente al 1915 che il pezzo più antico della collezione”, spiega Marli Hoppe-Ritter che, insieme a Barbara Willert, direttrice del museo di Waldenbuch, ci ha guidato nella visita della mostra.
PAROLA A MARLI HOPPE-RITTER E BARBARA WILLERT
Con quale criterio avete scelto le opere da esporre a Varese?
Marli Hoppe-Ritter: Abbiamo fatto un sopralluogo nel marzo scorso per vedere gli spazi e decidere con Marcello e Maria Teresa Morandini i criteri di selezione. Marcello Morandini è stato l’artista a cui abbiamo dedicato l’esposizione inaugurale del nostro museo e possediamo diverse sue opere che, come noto, giostrano tutte sul bianco e sul nero. Si è deciso allora di proporre qualcosa di diverso, puntando sul colore e sulle dimensioni non eccessive per adattarci agli ambienti della Fondazione.
Barbara Willert: Abbiamo scelto 39 opere di 35 artisti, dalla metà degli Anni sessanta fino a oggi. Ci sono soprattutto dipinti, ma anche opere tridimensionali, penso a quelle che utilizzano l’alluminio, e un’opera in feltro a dimostrazione che la figura geometrica del quadrato si adatta alla creazione con vari materiali. Ci interessa rendere l’idea di come una forma geometrica sia stata usata da diversi artisti, dal rigore dei concretisti zurighesi a creazioni più fantasiose, dove gli angoli retti scompaiono. È interessante seguire anche l’evoluzione dei colori, dai lavori che si concentrano su quelli primari ad altri dove il gioco delle sfumature è più ampio.
Fra tutte le opere esposte, ce n’è qualcuna a cui è particolarmente legata?
Marli Hoppe-Ritter: Ho comprato Transcoloration durch helle Zonen (1972-73) di Max Bill circa trent’anni fa ed è la mia opera preferita. L’autore, architetto, pittore, designer, è una figura di rilievo del Novecento, è stato allievo del movimento Bauhaus nella sede di Dessau e ha poi influenzato molti altri artisti nel corso della sua poliedrica attività. È famoso anche per aver creato, negli Anni Settanta, il logo della Deutsche Bank, un quadrato con una linea diagonale in mezzo. Ci furono molte polemiche allora, molti dicevano: “Ha guadagnato un sacco di soldi per disegnare un quadrato“, ma il logo è ancora utilizzato cinquant’anni dopo. Poi c’è 9 ronds, 3 couleurs, un’opera del 1966 di Vera Molnar, artista di origine ungherese che vive a Parigi, oggi ha quasi 99 anni. È l’opera più antica della mia collezione. Come pure sono molto legata a Vernetzung F6RY (25) un’opera del 2008 di Peter Weber, un artista tedesco che vive vicino a Monaco e parte dell’anno in Italia. In questo caso ha usato un’unica striscia di feltro rosso, ma usa anche altri materiali, utilizzando solo le piegature senza tagliare per comporre una forma quadrata.
Ad accompagnarci qui a Varese è stata anche Rita Ernst, un’artista che si divide fra Zurigo e la Sicilia e che conosco da molti anni. In mostra è rappresentata da Palermo, San Cataldo (2000), un’opera astratta ma ispirata dalle emozioni suscitate dalla chiesa palermitana.
Barbara Willert: Come detto, c’è spazio per opere che pur partendo da una riflessione sul quadrato se ne discostano per la libertà di interpretazione. Come IXEK5 Durchdringungen (2010-11) di Dóra Maurer, artista ungherese che sta conoscendo un crescente successo, tanto da essersi meritata l’attenzione della Tate Modern di Londra. L’opera è bidimensionale, ma il gioco dei colori apporta profondità. Al piano superiore della Fondazione sono state sistemate due opere che ben sintetizzano l’allontanamento dalla forma rigida del quadrato, la ricerca della tridimensionalità, l’uso di una palette di colori molto varia abbinati all’uso di materiali metallici: Senza titolo (2015) di Kirstin Arndt, che abbiamo sistemato sopra il camino, e Metal box (2013) di Tim Lambie, l’artista scozzese che siamo andati a conoscere a Glasgow e che è influenzato sia dalla teoria dei colori sia dalla musica, una delle sue passioni.
L’esposizione offre un panorama molto vario dell’arte costruttiva e concreta, ma anche di artisti che non si riconoscono in una precisa scuola o corrente, dai concretisti zurighesi fino ad artisti contemporanei di diversi Paesi europei. Fra le opere in mostra, spiccano i nomi di Jaacov Agam, Hans Jörg Glattfelder, Camille Graeser, Matti Kujasalo, Thomas Lenk, Richard Paul Lohse, François Morellet, Anton Stankowski, Günther Uecker, Grazia Varisco e Martin Willing.
Dario Bragaglia
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