L’irrilevanza dell’arte contemporanea

Negli ultimi decenni una delle questioni più spinose relative all’arte contemporanea è stata l’equivalenza: di stili, movimenti, approcci. Il risultato non può che essere l’appiattimento su un unico registro per opere e artisti?

Leggo una tesi di baccalaureato / sulla caduta dei valori. / Chi cade è stato in alto, il che dovevasi / dimostrare, e chi mai fu così folle? / La vita non sta sopra e non sta sotto, e tanto meno a mezza tacca. Ignora / l’insù e l’ingiù, il pieno e il vuoto, il prima / e il dopo. Del presente non sa un’acca. / Straccia i tuoi fogli, buttali in una fogna / bacalre di nulla e potrai dire / di essere vivo (forse) per un attimo” (Eugenio Montale, La caduta dei valori, in Diario del ’71 e del ’72, Mondadori 2020, p. 364).
The timbre, amplitude, frequency, and duration of every note on Spirit of Eden tell a great, sad story of pop music, a war of art and commerce that birthed a new genre in its wake. Its breadth and scope are intimidatingly large: Silence is as important as tone, stasis is as important as movement” (Jeremy D. Larson, Review of Spirit of Eden, “Pitchfork”, January 13, 2019).
Aspetto fondamentale della nuova forma d’arte: indistinzione opera e non-opera; io e mondo; soggetto e oggetto (identificazione); autore e spettatore; figura e sfondo.
La piccolezza, l’invisibilità, l’irriconoscibilità delle opere.

Maria Palmieri, FG is a disco

Maria Palmieri, FG is a disco

LA QUESTIONE DELLO STILE

La famigerata “equivalenza degli stili” (emersa come costante grossomodo tra la fine degli Anni Settanta e i primi Anni Ottanta, all’inizio dell’epoca postmoderna in arte) è stato il passaggio che ha portato gradualmente ma inesorabilmente all’irrilevanza dell’arte.
“Equivalenza” vuol dire infatti non solo che tutti gli stili sono uguali e ugualmente significativi (cioè: insignificanti), così come i movimenti e gli approcci, ma che lo sono anche le intenzioni e i valori che li sottendono.
Già le neoavanguardie degli Anni Sessanta (vero anticipo e prefigurazione, almeno sotto certi aspetti, del postmodernismo) avevano mostrato come le visioni utopiche delle avanguardie storiche potessero essere utilmente svuotate, opportunamente ricalibrate, per lasciare intatti solo i “gusci” delle opere. Allora, in questo senso, lo stile diventava – ancora una volta, nella storia dell’arte – un elemento conservatore, e non più il veicolo di una possibile trasformazione dell’intera società. È questa, in fondo, se ci pensiamo, la battaglia più importante combattuta durante quel decennio: quella cioè tra chi voleva proseguire e sviluppare la fusione Anni Dieci tra etica ed estetica, tra arte e politica (Nouveau Réalisme, Fluxus, Living Theatre, New American Cinema) e chi invece si apprestava a riflettere solo il lato decorativo e provocatorio della radice dada e/o costruttivista, sovvertendone e deformandone il senso e riducendola a pura forma, gioco linguistico neo-dadaista.
In tutto il mondo il cinema ufficiale ha il fiato grosso. È moralmente corrotto, esteticamente obsoleto, tematicamente superficiale, congenitamente noioso. (…) La nostra rivolta contro il vecchiume, l’ufficialità, la corruzione e la presunzione è innanzitutto etica. A noi interessa l’Uomo. Interessa ciò che succede all’Uomo. (…) Non vogliamo film fasulli, leccati, ammiccanti. Li preferiamo scabrosi ma vivi. Non vogliamo film rosei, li vogliamo color sangue” (Jonas Mekas, Manifesto del New American Cinema, 1960).

IL CASO ANDY WARHOL

Il caso di Andy Warhol ‒ come tutte le vere origini – è molto più contraddittorio e ambiguo: la sua ricerca degli Anni Sessanta si colloca infatti a metà strada tra critica e acquiescenza, tra reflection e sua trasfigurazione in realismo, tra underground e mainstream, tra sogno (realizzato) di un’esistenza alternativa e business art. (Così, Warhol è al tempo stesso uno dei primi artisti fighetti del XX secolo – il più grande e anche il più tragico, ovviamente, in quanto ex-povero che voleva essere ammesso nell’élite dei ricchi, conoscendo benissimo l’impossibilità finale di questa accettazione – e uno dei primi artisti anti-fighetti, o non-fighetti.)

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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