Mare, flutti e speranza di salvezza. La mostra di Fabio Weik a Salerno
Si ispira alle onde del mare la mostra di Fabio Weik alla galleria Paola Verrengia di Salerno. Evocando i viaggi di chi affronta l’ignoto per trovare rifugio
La mostra di Fabio Weik (Milano, 1984) da Paola Verrengia a Salerno è un lungo racconto sull’acqua che parte da lontano, da quando (2014-15) l’artista ha avuto modo di consultare (personalmente o mediante registri immateriali ufficiali) e di fotografare celatamente, proprio come in segreto raggiungono l’Europa quanti hanno voglia di riscattare la loro vita alla ricerca d’una certa felicità, una serie di cartigli olandesi raffiguranti miti fluviali, dei marini, esseri legati ad ambienti acquei. Entrare in galleria è un po’ come navigare tra immagini d’oro e d’argento, tra sbrilluccichii che ci portano ad assaporare una ricchezza apparente.
LA MOSTRA DI FABIO WEIK A SALERNO
Ad accoglierci sono, infatti, una serie di schermi dorati, intelaiati, su cui sono stampate, appunto, immagini (vale la pena ricordare che Weik ha ridisegnato meticolosamente con pennetta grafica, e dunque in maniera vettorializzata, le immagini selezionate dai cartigli, spesso rovinati o di piccole dimensioni) che rappresentano Perseo, Nettuno o Ermes – da qui la serie Ermeneutica.
Collocati su piedistallo – uno a onor del vero è su mensola a parete – Argo#1, Argo#2 e Argo#3 (2019) sono imbarcazioni argentate su cui, ancora una volta in oro, abbiamo modo di guardare una miriade di ominidi (sono in plastica, e tutti minuziosamente realizzati dall’artista) che si affollano. Alcuni di loro sembrano quasi desiderare di scappare o di tuffarsi in un mare dove rotte dal vento piangon l’onde.
In un video, IL MIO (2020), collocato proprio di fianco al barcone fatiscente su mensola, l’incanto crolla sotto le parole di Balla Coulibaly (un ragazzo del Mali scampato al flutto profondo del mare) che a poco a poco distrugge la soglia dell’illusione per catapultarci nella più dura e cruda realtà. Quell’oro e quell’argento che abbiamo modo di guardare e di ammirare non è altro che un primo soccorso – si tratta, appunto, di coperte isotermiche in film poliestere – per tutti quei rifugiati e migranti che rischiano la vita nel disperato tentativo di fuggire dal malessere della guerra o della povertà per ritrovarsi, dopo lunghi ed estenuanti viaggi, con una manciata di sabbia tra le mani, con un oro/argento artificiale e tecnico (il lato oro, come sappiamo, protegge dal freddo, mentre quello argento dal caldo), e in un campo d’accoglienza (di concentramento, di salvataggio, di beffardo atterraggio) prima di essere via via smistati, spalmati tra Italia e Europa.
LE OPERE DI FABIO WEIK
Sulla parete in fondo alla galleria, Balla Coulibaly, nel video Oltre Balla! (2020) accompagnato da una preziosa traccia sonora di Boss Doms, sembra affogare: ingoia e poi lascia fuoriuscire dalla sua bocca un riquadro della splendida coperta di primo soccorso oro e argento – un frame è riproposto, con Balla #4 (2020), su una parete di quest’ultima sala –, quasi a rafforzare la riflessione, a spingere il pubblico su un preciso punto (“Pensa a Fleba, che un tempo è stato bello e ben fatto al pari tuo”, canta T. S. Eliot nella morte per acqua) che spazza via l’indifferenza, che allontana dal chiasso mediatico e porta a guardare il peso dell’umanità.
Antonello Tolve
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