A Milano gli artisti contemporanei si interrogano sul concetto di sacro
Due sedi – la galleria Building e la Basilica di San Celso – fanno da cornice alla mostra milanese che cala l’esperienza del sacro nella pratica degli artisti. Suggerendo esiti inaspettati
Sono numerosi gli artisti scelti da Giorgio Verzotti per dare vita alla mostra che indaga “la tensione al sacro nell’arte italiana” dal punto di vista contemporaneo e che si divide fra gli ampi spazi della galleria Building di Milano e la Basilica di San Celso.
Titolo della rassegna è Il Numinoso, termine complesso riferito all’esperienza del sacro, che ispira timore, soggezione e reverenza. Il termine, che pur deriva dal latino numen, dalle molte sfaccettature, è stato coniato, nel senso qui utilizzato, dal teologo e storico Rudolf Otto, nel 1917.
Gli artisti scelti appartengono a diverse generazioni e si esprimono con linguaggi differenti. Una grande opera di Maria Lai, dedicata alla Sindone, lascia senza parole con il suo silenzio acromatico. Si tratta di un telo su cui è raffigurata la sagoma di Cristo. La corona di spine è ricamata in maniera fitta. C’è una sorta di carnalità che si contrappone al resto del corpo, allungato in una sofferenza accennata. Un’opera importante, non così facile da vedere in mostra. Ma il sacro è rappresentato anche dai tagli di Fontana o dagli Achromes di Piero Manzoni. Tra i lavori più interessanti c’è D’Io di Gino De Dominicis, un’opera, accompagnata da una parte vocale, in cui a spiccare è il gioco di parole e di sensi di un artista di grande forza, nel quale ironia e spiritualità si contendono il primato.
IL SACRO E L’ARTE ALLA GALLERIA BUILDING
Il numinoso può dunque essere interpretato come una soglia che consente al soggetto di contemplarlo senza essere annientato dalla sua potenza? È il quesito alla base della mostra, che suggerisce molteplici risposte. In ogni religione la rappresentazione del sacro è possibile e impossibile. Un’altra domanda sottende il senso di questa mostra ricca di opere assai diverse tra loro: possiamo leggere l’opera d’arte come un dispositivo che, similmente all’apparato delle liturgie, “sublima” e “domina” il sacro, familiarizza con esso potendolo pensare, visto che non lo può rendere oggetto dell’esperienza? L’intento non è offrire risposte, quanto piuttosto porre delle domande e ampliare l’orizzonte di chi guarda.
GLI ARTISTI IN MOSTRA DA BUILDING A MILANO
Amalia Del Ponte ci propone il suo altare personale, ci conduce nella sua intimità, nella dimensione privata, che in questo contesto diviene collettiva.
“Io sono l’Alfa e l’Omega il primo l’ultimo il principio e la fine di tutto quanto”: Vincenzo Agnetti riprende le parole dell’Apocalisse, pronunciate dal Signore. E noi che leggiamo restiamo senza parole di fronte all’autorevolezza del verbo divino che l’artista incide sulla tela. Qui il “numinoso” è più che mai evidente.
Tra le opere più delicate c’è quella di Andrea Magni. Nella prima sala, sul soffitto, c’è un’installazione in ottone in cui il principio e la fine si rincorrono come a chiudere una sorta di circolarità immaginata. E quindi Remo Salvadori con il suo gioco silente di linee, intrecciate in un’opera che non presenta soluzione e che sottolinea la complessità del tema affrontato.
Angela Madesani
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati