La rivoluzione gentile di Qiu Yi in mostra a Milano
Delicatezza e gesto si uniscono nelle opere dell’artista cinese Qiu Yi, in mostra alla MA-EC Gallery di Milano. Lanciando un messaggio di fratellanza e condivisione
Sul cortile di Palazzo Durini, nel cuore di Milano, si affaccia MA-EC Gallery, la prima galleria d’arte in Italia a essere gestita da un’imprenditrice cinese, Peishuo Yang. Attualmente la galleria ospita la mostra La Rivoluzione Gentile di Qiu Yi (1982), artista cinese residente in Italia da oltre dieci anni: installazioni, sculture e dipinti intendono portare, per la prima volta, l’intima dialettica di Qiu Yi all’attenzione del pubblico milanese.
Qiu Yi nasce e cresce a Yantai, nella provincia cinese dello Shandong, la regione natale di Confucio. Qui completa gli studi in scultura, prima di trasferirsi a Firenze nel 2011, per laurearsi in “Arti Visive e Nuovi Linguaggi Espressivi” presso l’Accademia di Belle Arti. Il capoluogo toscano, con i suoi capolavori dell’arte e dell’architettura rinascimentale, diventa la sua città d’elezione. Nel 2016 vi fonda l’Associazione di Arte e Cultura Contemporanea Cina e Italia, di cui è presidente, con l’obiettivo di creare un ponte fra due culture millenarie tanto complesse quanto lontane.
QIU YI TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Quella che traspare visitando la mostra è una vera e propria lezione di estetica orientale, applicata alla tradizione artistica occidentale. L’opera in cui tale contaminazione è maggiormente tangibile è senza dubbio Mille parole: in questa serie, che arriverà a contare mille esemplari, Qiu Yi riflette sull’elemento dell’ideogramma cinese, decontestualizzandolo e indagandolo da una nuova prospettiva. Frutto della traccia veloce di una barra di inchiostro sulla carta di riso, l’ideogramma perde la sua definizione: in questo modo, il suo ruolo verbale e comunicativo decade, lasciando emergere una dimensione di vicinanza all’esperienza artistica europea e statunitense del dopoguerra. Mille parole, con la potenza dei suoi neri sullo sfondo bianco, non può che dialogare con le opere di artisti come Pierre Soulages, Franz Kline ed Emilio Vedova, esponenti di spicco del filone gestuale dell’Arte Informale.
Qiu Yi ha deciso di confrontarsi non solo con l’arte contemporanea, ma anche con artisti rinascimentali: nella serie Profezia, l’artista interpreta dettagli di sculture michelangiolesche come il Tondo Pitti o lo Schiavo morente. Sebbene lo spettatore occidentale possa riconoscere le opere, in quanto parte del suo patrimonio culturale, si trova spiazzato di fronte al loro aspetto materico, decisamente diverso dal marmo dei capolavori di Michelangelo. Qiu Yi, infatti, realizza le opere di Profezia in un materiale organico e morbido, che richiede un’aggiunta quotidiana di acqua per non deteriorarsi. La cura giornaliera dell’opera d’arte ci fa riflettere sulla delicatezza del nostro patrimonio.
LA MOSTRA DI QIU YI DA MA-EC GALLERY A MILANO
A chiudere la mostra è un’installazione a pavimento, intitolata Ao Tu. Oltre cinquecento calchi di antiche vaschette, utilizzate in passato per sciogliere la china, danno vita a un’opera in cui regnano delicatezza e calma. Il Tao, la filosofia tradizionale cinese, e i suoi fondamentali racchiusi nel concetto di Yin e Yang si rivelano nell’opera di Qiu Yi: le tante tavolette mettono in scena l’opposizione tra negativo e positivo, pieno e vuoto, parlando il linguaggio di un contrasto dolce e delicato. È qui che nasce la rivoluzione gentile di Qiu Yi. Il cambiamento, secondo l’artista, necessita sì di una rivoluzione; tuttavia, la critica politica e la poetica possono andare di pari passo. La dirompenza, spesso, conduce a una risoluzione unilaterale dei conflitti, in cui vince chi grida più forte. Sussurrare, al contrario, costringe ad ascoltarsi. Quella di Qiu Yi è dunque una gentile offerta di pace e di condivisione, che modula l’opera d’arte su un tono che permetta il confronto evitando la distruzione; un tono che armonizza, più che con grandi voci di ribellione come quelle di Ai Weiwei e Badiucao, con l’amalgama estetico di Wolfgang Laib: oltre l’Oriente e oltre l’Occidente.
Alberto Villa
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