Il restauro di un’opera di Alberto Burri e la mostra a Bologna
È l’opera “Nero con punti”, grande monocromo ottenuto dalla trasformazione di una tela di juta, il fulcro della mostra che CUBO dedica ad Alberto Burri. Un’occasione per riflettere sulla conservazione dell’arte contemporanea e sul ruolo del biorestauro
C’è tempo fino al 21 gennaio 2023 per visitare la mostra Alberto Burri Reloaded, allestita al CUBO di Bologna. Il progetto, curato da Ilaria Bignotti, si rivela particolarmente interessante per l’intervento di restauro che ha portato a recuperare l’opera Nero con punti (1958) dell’artista umbro (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), parte della serie di Sacchi che caratterizzano la ricerca di Burri sulla trasformazione della materia. Tra i materiali poveri ‒spesso di scarto, come gli impiallacciamenti di legno e il cellotex insonorizzante ‒ trasfigurati dall’artista attraverso calore, colore, cuciture, strappi e saldature per interpretare l’esistenza in questo mondo, i sacchi di juta sono una costante assurta a emblema della sua poetica.
ALBERTO BURRI RELOADED. LA MOSTRA A BOLOGNA
Articolata tra le due sedi del museo di impresa del Gruppo Unipol (in Porta Europa e presso la Torre Unipol), la mostra bolognese si avvale della collaborazione di Tornabuoni Arte per il prestito di quattro opere (due lavori del ciclo dei Catrami, datati 1950; Muffa, olio e pietra pomice su tela, del 1951; Senza titolo, olio, vinavil, sabbia, sacco e collage su tela, del 1952), poste in dialogo con Nero con punti, lavoro pittorico di grandi dimensioni nel patrimonio di Unipol, che ne ha commissionato per l’occasione il restauro, così da restituirlo al pubblico dopo un lungo periodo di assenza. A condurre l’intervento ‒ preceduto da attente indagini volte ad affrontare con cautela, ma con la giusta dose di innovazione, il restauro di un’opera così particolare, tanto per il materiale utilizzato che per l’approccio alla materia di Burri – è stata chiamata Muriel Verat, restauratrice d’esperienza, che ha coinvolto a propria volta il CNR di Firenze e l’Università di Pisa. Due anni di lavoro sono stati necessari per giungere al risultato finale, volto a mettere in sicurezza l’opera, senza intaccare il naturale processo di trasformazione e invecchiamento ancora in corso. Un’opportunità per riflettere sull’approccio del restauro all’arte contemporanea, per confrontarsi con le difficoltà determinate dal processo di stratificazione materica caro a Burri, per esplorare nuove soluzioni di biorestauro, più sostenibili per l’ambiente, meno impattanti sull’opera, più salutari per gli operatori e per i visitatori. Proprio il restauro, allora, diventa protagonista del progetto espositivo, accompagnato da video, materiali didattici e incontri con gli esperti ideati per approfondire e rinnovare la disciplina della conservazione delle opere d’arte. Ne abbiamo parlato con Muriel Verat.
INTERVISTA A MURIEL VERAT
Come si lavora al restauro e alla conservazione di opere novecentesche, pensate, come nel caso del Nero con punti di Burri, perché la materia interagisca con lo spazio e il tempo, portando su di sé i segni della trasformazione?
Ci siamo confrontati con un’opera particolare anche per quella che è la produzione di Burri: di grandi dimensioni, monocroma, presenta un unico materiale, la juta, che l’artista cuce, strappa, buca… Con una cordicella congiunge due sponde della tela. Il materiale, già in partenza logoro, è un prodotto di scarto, su cui Burri interviene con un gesto artistico: l’obiettivo del restauro è rispettare questa condizione iniziale. Con il CNR di Firenze e l’Università di Pisa siamo partiti dall’analisi dei materiali costituenti, senza dare nulla per scontato, come procediamo per i dipinti antichi. Ma l’arte contemporanea spesso ci mette davanti a una materia ancora in fase di invecchiamento: qui l’opera ha 64 anni, e proprio il processo di trasformazione della materia, dal primo intervento dell’artista alle modifiche successive determinate dal tempo, è la sorgente della sua poesia. Il nostro compito, dunque, è quello di aiutarla a invecchiare in modo naturale.
Vi siete dunque avvalsi di innovative tecniche green. Vogliamo entrare nel dettaglio dell’intervento?
Se avessi utilizzato consolidanti chimici, avrei modificato il naturale processo di invecchiamento della juta, rischiando anche di compromettere il colore nero mat della vernice vinilica, che non doveva essere alterato. Ho avuto l’intuizione di cercare di rigenerare la fibra con un materiale organico e affine, che fosse meno invasivo possibile; e ho pensato alle alghe Funori, usate da secoli in Giappone per il consolidamento della carta. Quindi abbiamo reidratato le alghe liofilizzate in acqua, stendendo il liquido ottenuto sulla superficie dell’opera. La lungimiranza di Unipol, nelle figure di Angela Memola e Vittorio Guidone, è stata quella di accettare che l’intervento non fosse risolutivo in modo definitivo e permanente: un approccio naturale come questo dovrà essere ripetuto nel tempo, quando perderà efficacia, ma non altererà l’interazione dell’opera con il tempo e lo spazio.
IL FUTURO DEL BIORESTAURO
Cosa possiamo dire di questo approccio? Rappresenta il futuro del restauro?
Pensando all’operatività dell’intervento, usare un materiale rispettoso dell’operatore e delle persone che entrano in contatto con l’opera, oltre che dell’ambiente, permette di procedere in sicurezza con richiami successivi senza movimentare la tela. Nel caso specifico, l’utilizzo delle alghe Funori apre molteplici possibilità per il restauro di opere in tessuto e carta: probabilmente produrremo una pubblicazione scientifica a riguardo, che sia utile per i progressi futuri della disciplina. Quando si affronta un oggetto moderno, spesso si è proiettati verso l’utilizzo di prodotti chimici. Invece si possono rimettere in questione alcune metodologie: l’arte contemporanea spesso si avvale di materiali poveri e logori e tecniche di restauro naturali possono essere preferibili. Lavorare con il CNR ha fatto sì che tutte le istituzioni museali potranno consultare, d’ora in avanti, i risultati del nostro lavoro. Per il futuro del mestiere bisogna non aver paura di fare e puntare sempre sulla collaborazione.
Livia Montagnoli
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