Allerta e attualità nella mostra di Michal Rovner a Torino
È un ritorno quello di Michal Rovner a Torino, questa volta alla Fondazione Merz. Con un’opera che parla di uomini, sciacalli e pericoli costanti
La riflessione di Michal Rovner (Israele, 1957) sulla fragilità della condizione umana resta inevitabilmente aperta, continuando a sollevare interrogativi assoluti, seppur in un luogo e in uno spazio nuovi. Un meta-spazio, appunto, quello ricreato alla Fondazione Merz, che ne esce architettonicamente trasformata, per chi la ricordava in altre forme e sembianze.
Un intervento site specific metamorfico che accoglie il visitatore con un monito che è, al contempo, avvertimento e protezione: allerta! Ma da chi? E da cosa?
LA MOSTRA DI ROVNER A TORINO
L’opera di Michal Rovner pone domande, interrogando al contempo l’artista stessa, il visitatore e il luogo del loro incontro. Da una dimensione spazio-temporale alterata, un enorme sciacallo ci osserva e rievoca qualcosa di molto lontano e antico in noi. Qualcosa che temiamo e allontaniamo. Una profondità comune. Un incontro.
Il sottotesto della riflessione di Rovner è sulla crisi del dislocamento, sulle masse di umanità in movimento, sull’attuale condizione di crisi dei rifugiati che, secondo UNHCR, hanno superato la soglia dei 100 milioni di persone. La necessità di una costante vigilanza in uno stato di continuo pericolo accomuna così uomini e animali selvatici in una contemporaneità che diventa disarmante, come lo stato del mondo in cui viviamo.
LE PAROLE DI MICHAL ROVNER
Rovner dice: “Parto sempre dalla realtà, raccogliendo o registrando cose dalla realtà, ma cancello sempre molti dettagli, dettagli identificativi. Non cerco di ignorare o di allontanarmi dalla realtà, ma di rilevare qualcosa della realtà, che si trova sotto i dettagli, sotto la storia”.
E aggiunge: “Nel mio primo incontro con gli sciacalli, ho avuto l’impulso di realizzare un dipinto rupestre. L’ho chiamato ‘Anubis’. Realizzandola in questo luogo, volevo che l’opera ne fosse parte, che si proiettasse sulle pareti esposte, con i segni e le macchie, che rimanesse grezza così com’è, una sorta di Arte Povera, ma anche una specie di affresco in movimento. Il sito e i muri portano con sé i residui del tempo e della storia del luogo, e a questo ho aggiunto un altro strato di tempo passato e attuale”.
È la caverna di Platone o quella di Lascaux che Rovner vuole rievocare? Un luogo di ombre o di segni? Lo spazio del mito o quello della storia? Forse tutte le risposte sono valide.
LA MEMORIA E L’ATTUALITÀ SECONDO ROVNER
Ancora una volta l’artista israeliana fa incontrare memoria storica e attualità con un medium visivo che oscura le specificità del tempo e del luogo in cui si colloca, per aprire una riflessione più ampia sul moto perpetuo che caratterizza i cambiamenti del genere umano, procedendo in un continuum temporale che è un ambiguo incontro tra tutti i tempi.
Lo sciacallo siamo noi, ma anche gli altri. È quello che più temiamo e allontaniamo, ma che ci osserva e da cui non riusciamo a distogliere lo sguardo. È il dio di un tempio, il cane aureo, Anubi, guardiano delle anime tra la vita e la morte. È icona di un enigma. È al contempo chi guarda e chi è guardato.
Sara Panetti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati