La mostra di Elisabetta Benassi in un luogo magico di Roma
Il lato nascosto delle pietre litografiche è protagonista di una mostra allestita nella storica Litografia R. Bulla, attiva dal 1840 e dove sono passati giganti dell'arte come Mario Schifano, Jim Dine e Jannis Kounellis
Nel dodicesimo capitolo della serie di dialoghi artistici intitolata Passaggi, fino al 3 febbraio 2023 l’ormai leggendaria finestra su via del Vantaggio della Litografia R. Bulla a Roma resterà aperta con Pietre di testa, nuovo corpo di opere grafiche di Elisabetta Benassi (Roma, 1966), creato ed esposto in collaborazione con la galleria Magazzino.
I lavori sono un omaggio e una riflessione sulle matrici poetiche e sui maestri (o spettri derridiani) dell’artista romana a partire dall’apprendistato giovanile con Nunzio e dal ricordo delle prime visite in stamperia, dove più di trent’anni fa (come oggi) il pubblico restava colpito dalle decine di pietre litografiche riposte su un alto scaffale che si trova in fondo ai locali.
Un deposito, ma anche un archivio storico che conserva testimonianza delle litografie realizzate e stampate nel corso di una lunga vicenda che inizia in rue Saint Jacques, a Parigi, nel 1818, si radica a Roma nel 1840 e prosegue attraverso la storia dell’arte contemporanea prestando i torchi e una sapienza di generazioni (oggi ereditata da Beatrice e Flaminia Bulla) ad artisti come Toti Scialoja, Mario Schifano, Georg Baselitz, Jim Dine, Cesare Tacchi, Tano Festa, Carl Andre, Carla Accardi, Robert Barry e l’indimenticato Jannis Kounellis.
LA MOSTRA DI ELISABETTA BENASSI ALLA LITOGRAFIA R. BULLA
Elisabetta Benassi ha recuperato, appunto, alcune delle pietre litografiche conservate dalla famiglia Bulla e ne ha stampato e reso visibile il verso, cioè il rovescio, il lato nascosto e dimenticato, quello che reca le tracce accidentali delle opere condotte sul recto dagli artisti che l’hanno preceduta: Nunzio e Kounellis, appunto, ma anche Enzo Cucchi, Giorgio de Chirico, Jim Dine, Louis Fratino e Mino Maccari. Ciò che emerge è il depositarsi involontario dei gesti; una memoria inconscia, speculare, rivelatrice; l’opera viva, cioè sommersa e imprescindibile.
Ma l’artista non è nuova a questa attività di scavo e ribaltamento del tempo e dei non-eventi. Si pensi, per esempio, a Memorie di un cieco del 2010, un lettore di microfilm come quelli usati in biblioteche e archivi, poggiato su un scrittoio Olivetti, nel cui schermo si vede scorrere il retro di migliaia di fotografie tratte dagli archivi della stampa internazionale del XX secolo: le immagini di episodi di cronaca e costume restano per noi invisibili, ma sono evocate da didascalie, accrediti e annotazioni che ne forniscono una traduzione e allo stesso tempo testimoniano una vita degli oggetti (millimetrico spessore ed esistenza materiale, uso, catalogazione) autonoma dalla rappresentazione che recano.
L’esplorazione della separazione paradossale (poiché minima eppure non attraversabile, incomponibile) e insieme della compresenza dei due lati dell’immagine torna con eleganza teoretica nei lavori ora in mostra alla Litografia R. Bulla, in cui Elisabetta Benassi sfida le comuni accezioni di autorialità, immediatezza, volontarietà del gesto artistico svelandoci una storia dell’arte contemporanea alternativa e speculare.
Mariasole Garacci
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