Sei artisti ucraini in residenza a Cagliari. La mostra
La mostra all’ex Manifattura Tabacchi di Cagliari accende i riflettori sugli esiti della residenza che ha coinvolto sei artisti ucraini. Qui in dialogo con due artiste sarde
Al principio doveva essere un libro ma poi, vista la complessità e l’eterogeneità delle installazioni, è diventato una mostra. Stiamo parlando di Et in Arcadia ego, progetto di residenza riservato ad artisti ucraini in dialogo con artisti italiani, voluto dal Ministero della Cultura che ha incaricato la Quadriennale di Roma, diretta da Gian Maria Tosatti, con la curatela di Valeria Pliekhotko e Sofiia Yukhimova.
Il progetto, in collaborazione con Sardegna Teatro, Sardegna Ricerche e Fondazione di Sardegna, a sostegno degli artisti ucraini che si sono trovati improvvisamente travolti da un conflitto non voluto, ha dato modo ai professionisti invitati di continuare la loro indagine creativa negli spazi dell’ex Manifattura Tabacchi a Cagliari.
Memento mori di un’opera del Guercino, nonché iconografia diffusa in epoca barocca, per via del paradosso tra il momento della morte e quella che è stata la felicità di vivere, il titolo ben si adegua al risultato delle residenze.
GLI ARTISTI UCRAINI IN MOSTRA IN SARDEGNA
Apre il percorso Anastasiia Dytso (Odessa, 1998) con Perla, ispirato al colore perlaceo di un corpo femminile immerso nell’acqua che riprende le sue sembianze a mano a mano che l’artista lo rappresenta fotograficamente. Accostandolo ad alcune frasi evocative apparentemente quotidiane che potrebbero suggerire, invece, uno stato di premorte. Nella stessa sala si snoda Facing the wall di Mykola Ridnyi (Kharkiv, 1985), una serie di manifesti minimalisti su cui è stampata una Z, simbolo dal nastro di San Giorgio riservato ai reduci della Seconda Guerra Mondiale per la vittoria contro il nazismo, paradossalmente adottata dall’esercito russo nel conflitto attuale, occultata da una gomma da masticare, gesto istintivo di rifiuto e disprezzo. Dal momento che per ragioni burocratiche non è stato possibile affiggere i manifesti per le vie della città, parte dell’installazione è stata allestita negli spazi esterni della Mediateca del Mediterraneo
Danylo Halkin (Dnipro, 1985), con le sue Protesi ottiche, formalmente sofisticate e di forte impatto visivo, ha ridato vita pittoricamente ad alcune vetrate d’epoca sovietica raffiguranti simboli di pace che l’artista ha recuperato e messo in sicurezza dopo i primi bombardamenti. Alla pittura ricorre anche Sasha Roshen (Kharkiv, 1996) in Camuffare: una serie di opere tracciano le reti mimetiche riprodotte da donne e bambini con brandelli di tessuto per occultare dagli attacchi russi obiettivi militari e civili. Una mimesi che si modifica cromaticamente di pari passo con le diverse stagioni. Chiude il quintetto ucraino il progetto Intermezzo di Daria Chechushkova (Odessa, 1999), di grande potenza espressiva che, attraverso disegni, foto, installazioni e video, ricostruisce la sua esperienza autobiografica dall’inizio della guerra, a causa della quale ha dovuto abbandonare la sua casa, i suoi amici, la sua vita. La sala è diventata un work in progress che si è evoluto nel corso della residenza e che è stato documentato per mezzo del video in ogni sua fase. Un percorso intimo, inquietante e sofferto, sospeso tra incubo e realtà, tra vita e morte.
IL DIALOGO CON DUE ARTISTE SARDE
Gli artisti ucraini sono stati messi in dialogo con due artiste locali: Ambra Iride Sechi (Las Plassas, 1992), membro del collettivo Transumanza, che, con Buone vacanze, ha evidenziato efficacemente l’ambivalenza dell’isola nella sua veste di meta turistica per eccellenza contrapposta a quella militare – le basi occupano 35mila ettari di territorio oramai devastato e dichiarato in parte non bonificabile; e Giulia Casula (Cagliari, 1977), che acquisisce alcuni vocaboli ucraini con l’ausilio di applicazioni per smartphone dando vita a una serie di bandiere tibetane allestite come panni stesi.
Roberta Vanali
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