Tempo, scultura, relazioni. La mostra di Bettina Buck a Bologna
Cos’è davvero l’opera d’arte? A cosa dobbiamo credere? Sono le questioni sollevate dalla mostra che Palazzo De’ Toschi dedica alla ricerca ventennale di Bettina Buck, scomparsa ad appena 44 anni
La storia dell’arte e la storia di ognuno di noi nell’arte: Bettina Buck (Colonia, 1974 ‒ Berlino, 2018) si pone all’interno di questa dialettica in modo performativo e relazionale. Lo sottolineano le sue quindici piccole opere in bronzo create per immortalare attimi di intimità vissuti a casa di amici: se ne incontrano sei in Finding Form, la mostra che ripercorre la ricerca ventennale sulla scultura dell’artista tedesca. Posizionati in diversi punti delle due sale espositive di Palazzo De’ Toschi a Bologna, soprattutto negli angoli, sembrano riprodurre il processo che li ha plasmati: una gettata di schiuma di lattice a fissare per l’eternità residui di affetti, elevati poi a opera d’arte grazie alla fusione di un materiale resistente come il bronzo.
LA MOSTRA DI BETTINA BUCK A BOLOGNA
L’intero percorso ruota essenzialmente intorno a due video: Interlude, che documenta una camminata solitaria nella campagna inglese, con riferimenti alla pittura di genere (quella del paesaggio) nella storia dell’arte, e Another Interlude, ambientato nelle sale di un museo, la Galleria Nazionale di Roma, dove la performer entra in contatto con i visitatori e le opere esposte. In entrambi l’artista trascina un parallelepipedo di gommapiuma dai molteplici significati: una scultura, un fardello, una seduta. A ogni frame del video la percezione dell’oggetto, indotta o autoindotta, e la relazione che si crea con esso, cambia. Lo stesso succede con gli altri lavori di Bettina Buck presenti in mostra, tutti impegnati in un’azione interiore, diversa per tensione e intensità.
IL TEMPO E LA SCULTURA SECONDO BETTINA BUCK
3 Upright, per esempio, è una scultura composta da tre blocchi di piastrelle montati su tela con del lattice, dall’aspetto di altrettante colonne autoportanti e monolitiche: nel corso della mostra le strutture cambieranno forma per effetto della gravità, fino a crollare. Sarà così il trascorrere del tempo a mostrare la caducità delle cose e la vera natura di superficie fragile dell’opera che si rivelerà nel momento del suo annientamento. Un po’ come avviene con il corpo umano, di cui la scultura è metafora: il tempo lo consuma e ne cambia la forma, lo modella fino a liberarlo di ogni sovrastruttura, rivelandone possibilità (o impossibilità) impreviste. In una parola, l’essenza.
Claudia Giraud
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