A Bergamo la mostra sugli artisti alle prese con il vuoto
La mostra alla GAMeC di Bergamo chiude la trilogia espositiva sul modo in cui gli artisti del Novecento e di oggi si approcciano alla materia. Stavolta il tema è il vuoto, da Magritte alla realtà virtuale
La mostra in corso alla GAMeC di Bergamo prende a prestito il titolo dall’epocale azione Salto nel vuoto di Yves Klein, che nel 1960 si tuffò da un appartamento al secondo piano quasi librandosi in volo, come documentato, con qualche compiacente ritocco, dalla celebre foto che lo immortala sospeso nell’aria. Il vuoto è appunto il tema affrontato in questa rassegna di opere che va dalle avanguardie storiche fino alle più recenti sperimentazioni, coinvolgendo un’ottantina di artisti, atto finale di una trilogia di esposizioni iniziata nel 2018 e dedicata all’indagine sulla materia nell’arte del XX e del XXI secolo. I curatori, Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC, e Domenico Quaranta hanno indagato tutti i vari modi in cui nell’arte contemporanea è stato affrontato il tema dell’annullamento della materia e della percezione del vuoto, scandendo il percorso espositivo in tre sezioni: Vuoto, Flusso e Simulazione.
GLI ARTISTI IN MOSTRA ALLA GAMEC DI BERGAMO
Si parte con le ricerche della seconda metà del secolo scorso improntate alla riduzione e all’essenzialità. Nei Volumi a moduli sfasati (1960) di Dadamaino, la stratificazione di fogli di plastica traforati ci restituisce una trama di trasparenze e di mancanze, mentre in Bianco (1975) di Agostino Bonalumi e Superficie bianca (1987) di Enrico Castellani il pieno che si estroflette ritmicamente coinvolge e quasi impiglia entro la propria modularità il vuoto con cui entra in relazione. Nello Schermo (1970) di Fabio Mauri l’estroflessione si dilata a formare un piano di ricezione destinato a restare perennemente deserto, nella vana attesa di quel corredo luminoso di immagini che mai arriverà a inverare la sua morfologia e la sua denominazione.
Si continua con alcuni capisaldi dell’arte del primo Novecento come la composizione di Picasso intitolata La bouteille de Bass (1912-14), in cui il vuoto pare fluire attraverso le giunture delle forme che si intersecano nella schematizzazione geometrica, o come Numeri Innamorati (1923 circa) di Giacomo Balla, in cui i simboli numerici lasciano dietro di sé una sorta di scia tridimensionale, visualizzando come solidificato uno spazio puramente mentale. Da qui si procede verso la contemporaneità non tralasciando ovviamente i contributi degli artisti facenti capo al movimento Fluxus e all’Arte Programmata.
DA MAGRITTE ALLA REALTÀ VIRTUALE
Ricchissima poi di connubi tecnologici la sezione ispirata alla simulazione, che non esclude però opere realizzate con materiali più tradizionali o presi dalla quotidianità. Man with Walkman (1989) di Duane Hanson, capofila dell’Iperrealismo americano, in questo contesto ci ricorda che tanto più il simulacro è fedele all’originale che vuole rappresentare, tanto più l’assenza di quest’ultimo ne risulta rimarcata. Le grand siècle (1954) di René Magritte ci mostra poi un mondo tanto più irreale quanto più contenuto in aspetti della realtà che si combinano tra loro in maniera incongrua. Il rifacimento della Grande Jatte da parte di Ai Weiwei con Untitled (After Seurat) (2021), in cui la tecnica divisionista dell’originale viene simulata attraverso l’uso di minutissime tessere Lego, consiste in una riduzione al contempo parodistica e celebrativa di una tecnica pittorica che prefigura i pixel di cui sono composti i simulacri dell’era digitale.
La mostra si conclude con un’apertura di credito verso l’accoglimento nell’ambito della ricerca artistica dei più recenti sviluppi della realtà virtuale: diorami spaesanti, allucinazioni eterodirette, dimensioni che si sovrappongono, immaginari preconfezionati, come se la “seconda vista” di cui parlava Franz Marc ci potesse diventare accessibile in infinite guise indossando semplicemente un caschetto provvisto di visore. Forse il cammino verso il futuro è già tracciato. Resta solo da aspettare, per capire se tutto questo coinciderà anche con il futuro dell’arte.
Alberto Mugnaini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati