Arte, letteratura e coscienza civile nella mostra di Carlo Levi a Firenze
Palazzo Medici Riccardi ospita la mostra dedicata al pittore e scrittore che fra il 1941 e il 1945 abitò in semiclandestinità a Firenze, dove scrisse il suo primo e più noto libro, “Cristo si è fermato a Eboli"
Pur laureato in medicina, Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975) lasciò la carriera già alla metà degli Anni Venti del secolo scorso per dedicarsi alla pittura, alla letteratura e all’azione politica contro il fascismo. A quest’ultima si avvicinò grazie a personaggi quali Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Leone Ginzburg, mentre alla pittura lo istradò Felice Casorati, del quale frequentò a lungo lo studio e che lo spinse verso il realismo magico. Un percorso che Levi poté perfezionare con una serie di soggiorni a Parigi nell’arco dei quali ebbe modo di conoscere da vicino le avanguardie, ma, anziché da Braque o Picasso, si sentì attratto dalla lezione di Amedeo Modigliani il quale, sebbene scomparso da alcuni anni, era ancora noto e celebrato nella capitale francese. Rientrato in Italia, proseguì la carriera pittorica dedicandosi al ritratto e al paesaggio, opere da cui scaturisce un delicato lirismo irrobustito però da una tavolozza vivace e da una pennellata ampia e pastosa.
Ma l’attività antifascista con il movimento “Giustizia e libertà”, fondato da Carlo Rosselli, gli costò la condanna al confino nel marzo del 1935, in seguito a una delazione di Dino Segre (mediocre scrittore a tempo perso, in realtà spia del regime che non esitava a tradire i colleghi). Trasferito d’autorità prima nel villaggio di Grassano e poi in quello di Aliano, nel corso della sua permanenza Levi saprà instaurare un profondo rapporto con la realtà della Basilicata contadina, e in quel periodo nasceranno infatti opere evocative quali Dietro Grassano, La Strega e il bambino, La figlia scarmigliata della Strega; un corpus che la mostra ripropone per documentare la sensibilità dell’artista verso terre e persone “antiche”, il cui fascino è però offuscato da una povertà endemica che niente sembra poter sconfiggere.
Ottenuta la grazia con l’amnistia del 1936, Levi trova breve pace prima che le leggi razziali del 1938 lo costringano, lui di famiglia ebraica, a rifugiarsi in Francia. Però, nel 1941, scelse di rientrare in patria. Cominciò il periodo fiorentino, una nuova stagione di impegno politico e culturale.
CARLO LEVI E GLI ANNI DELLA GUERRA A FIRENZE
Cuore della mostra è il soggiorno di Levi nel capoluogo toscano, fra il 1941 e il 1945, nel buio periodo degli anni di guerra cui si aggiunse, dal 1943, l’occupazione nazista; furono gli anni di un rinnovato impegno per la causa della libertà italiana dal nazifascismo, all’interno del Partito d’Azione; pur vivendo in una sorta di semiclandestinità a causa della sua attività politica (dirige La Nazione del Popolo, organo del Comitato di Liberazione della Toscana, e fra aprile e luglio del 1943 è prigioniero nel carcere delle Murate), intreccia rapporti con i grandi protagonisti del mondo intellettuale antifascista che si è concentrato a Firenze: lo scultore Alfieri, il pittore Colacicchi, i letterati Montale, Cancogni, Tobino e Leone Ginzburg, che morirà nel febbraio del ‘44 a Roma, a causa delle torture inflittegli dalle SS dopo un interrogatorio.
In questi anni difficili nascono opere quali La guerra partigiana, dove un capretto barbaramente scuoiato che giace su una livida spiaggia simboleggia l’Italia dilaniata dal conflitto civile; e, ancora, il doloroso Fuoco di Firenze, dove una testa animale immersa nel sangue rimanda al martirio della città occupata e in parte minata dai tedeschi. Levi sceglie corpi animali perché, nella tragedia della guerra, l’essere umano sembra appunto aver perduto la sua umanità. La sensibilità del pittore vuole anche dare voce alle vittime dei campi di concentramento tedeschi e delle camere a gas, nell’impressionante Nudi. Il lager presentito, dove cadaveri scheletrici e ammucchiati sembrano chiedere giustizia.
Ma soprattutto, fra il dicembre del ’43 e il luglio del ’44, a Firenze Levi comporrà il suo romanzo più importante, quel Cristo si è fermato a Eboli che, con piglio neorealista, ripercorre i lunghi mesi del confino in Basilicata.
IL DOPOGUERRA E L’IMPEGNO PER IL SUD
Gli Anni Cinquanta furono quelli del ritorno di Levi in quel Meridione che lo vide esule per la libertà, e del quale aveva imparato a conoscere i paesaggi, ma soprattutto il carattere e la fierezza dei suoi abitanti, di quei contadini-operai che ancora lottavano per i propri diritti, ormai consapevoli delle condizioni di sfruttamento così a lungo mantenute ai loro danni. Quel Meridione che ribolliva di passione civile fu un terreno fertile per la tavolozza di Levi, il cui pennello si presta, con esplicito accento neorealista, alla denuncia sociale, ritraendo senza esitazioni i corpi delle donne deformati sotto il peso della fatica, gli occhi dei bambini scavati dalla malaria, i volti degli uomini segnati dalla malattia. Levi è cantore di quel Sud azzoppato e ferito al quale, come scrisse Carmelo Bene, “non resta che volare”. E vola sulla spinta dei suoi eroi popolari, contadini rivoluzionari tenacemente legati alla terra, o attivisti come Salvatore Carnevale, sindacalista siciliano ucciso dalla mafia, e il sociologo-attivista della non violenza Danilo Dolci. Donne e uomini dei quali Levi riesce a esprimere la forza d’animo, l’onestà intellettuale, l’ingenuità dell’utopia, la necessità della lotta per placare urgenze ataviche e riparare a secolari ingiustizie.
L’amore per il Sud, e la Basilicata in particolare, lo espresse anche in occasione della grande esposizione che si tenne a Torino nel 1961, per celebrare il centenario dell’Unità; la mostra fiorentina presenta la riproduzione a grandezza naturale del celebre telero (l’originale è custodito a Matera) con cui appunto Levi omaggiò la Basilicata. Lucania ’61 è la commovente elegia per immagini di un popolo e del suo riscatto, simboleggiato dalla figura di Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e sindaco del paese di Tricarico, prematuramente scomparso nel 1953 ad appena trent’anni, e che Levi immortala come un novello Cristo del Sud, portatore di un messaggio di riscatto e speranza.
Un artista, uno scrittore e un uomo, Carlo Levi, la cui onestà intellettuale, la coerenza e la fede nei propri ideali hanno ancora oggi molto da insegnare alla meschina Italia del Terzo Millennio.
Niccolò Lucarelli
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