90 anni di Michelangelo Pistoletto. L’intervista
In scena al Chiostro del Bramante di Roma e, dal 23 marzo, anche nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano, Michelangelo Pistoletto si racconta e approfondisce temi e opere della mostra romana
Fa il punto su oltre sei decenni di carriera la mostra che il Chiostro del Bramante di Roma dedica a Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933). A curarla è Danilo Eccher, il quale ha collaborato con l’artista alla messa a punto di una personale che racchiude in sé la forza di una collettiva. Ispirata sin dal titolo al tema dell’infinito, solido punto di ancoraggio della poetica di Pistoletto, la mostra affonda le radici nell’idea di molteplicità, fulcro di una ricerca incessantemente perfezionata e consolidata dall’artista. Gli abbiamo chiesto di farci da guida tra i capitoli di una storia che il pubblico romano potrà ripercorrere sullo sfondo di una delle architetture simbolo della Capitale.
Da dove è nata l’idea di una mostra al Chiostro del Bramante?
È stata un’idea di Danilo Eccher, che finora aveva realizzato in questa sede mostre collettive per avere la possibilità di creare dei confronti dinamici tra gli artisti. Stavolta desiderava fare una mostra personale che avesse le medesime caratteristiche di dinamicità. Caratteristiche ritrovate da Eccher nel mio lavoro.
Eccher ha descritto questa mostra come “una mostra collettiva di un unico artista”, chiamando in causa due concetti chiave della sua poetica: molteplicità e differenza.
La molteplicità e l’unicità sono presenti già nei Quadri specchianti, a partire dal 1961-62. La figura fissata sulla superficie convive con tutte le figure in movimento della realtà riflessa nel quadro stesso. Allo stesso tempo la persona che si riflette nel quadro – lo spettatore – non è sola, ma è insieme a tutti quelli che contemporaneamente si possono specchiare. Esiste una molteplicità dall’uno al noi. Questa molteplicità si è poi sviluppata con gli Oggetti in meno: non ci sono collegamenti fra le opere di questa serie, ognuna è autonoma e irripetibile, al pari degli spettatori presi uno per uno individualmente. Il rapporto tra me e il mondo avviene con i Quadri specchianti e diventa pratica con gli Oggetti in meno, perché io pratico il passaggio dal possibile dell’esistenza di una immagine o di una persona alla realtà dell’essere, la realtà fisica che si riflette nello specchio. È una dinamica della molteplicità delle unità.
Il concetto di infinito si lega agli aspetti di cui ha parlato ed è molto presente nella sua ricerca: come è cambiato nel tempo il suo approccio a questo tema?
L’infinito è nella superficie specchiante del quadro, dove esiste un presente che cambia costantemente. L’infinito è nel presente, che non è unico né definitivo. L’infinito sta fra il presente costantemente mutevole e il tempo e lo spazio che non hanno limiti. Ho poi cominciato a fare un’indagine sul funzionamento dell’universo che è riflesso nell’opera d’arte: ho diviso lo specchio a metà e ho notato che i due specchi, riflettendosi fra di loro, ne creano un terzo. Questa è la formula della creazione: 1+1 = 3. Chiudendo ad angolo i due specchi, avviene una moltiplicazione, i numeri possibili crescono all’interno dello specchio. La moltiplicazione arriva al massimo dei numeri possibili quando i due specchi si chiudono all’angolo zero e si sovrappongono. A quel punto abbiamo il possibile. Aprendo i due specchi il possibile diventa realtà fisica. Il lavoro degli specchi riproduce la nascita dell’universo quando nel vuoto si verifica il primo incontro fra spazio-tempo da una parte e massa-energia dall’altra. Al centro c’è l’origine dell’universo, che si apre e si estende, a partire dal Big Bang, così come quando, aprendo i due specchi, ricompaiono tutti i numeri possibili.
LE MOSTRE DI PISTOLETTO A ROMA E A MILANO
La mostra ripercorrerà la sua carriera dal 1966 al 2023: come avete immaginato l’allestimento e la struttura della mostra?
È stato un lavoro di cooperazione con Danilo Eccher, che conosce perfettamente gli spazi e che non ha voluto fare una mostra museale, ma individuare punti salienti che scatenassero dinamiche di energia. Una energia data dai vari lavori in rapporto allo spazio stesso. Non è una mostra puramente cronologica, ma a effetto. Lo stesso Eccher ha una natura artistica, quindi è stato quasi un incontro duale fra l’artista che si relaziona agli spazi e il curatore che si relaziona all’arte, ma in un’ottica di scambio. Io divento curatore tanto quanto lui diventa artista. C’è stato un dialogo costante in merito all’articolazione della mostra, ma io ho messo a disposizione di Eccher l’intero mio lavoro perché lui potesse scegliere come comporlo in base alla sua idea creativa.
Ci può anticipare qualcosa a proposito delle opere esposte?
Al centro del chiostro ci sarà il grande simbolo trinamico della creazione. Lo stesso disegno sarà riportato a colori sulle bandiere appese fra le arcate. Il colore di ogni cerchio è diverso dal colore del cerchio opposto, ma al centro ci sarà un terzo colore che nasce dalla combinazione dei due colori precedenti. In ognuna di queste bandiere c’è dunque il ripetersi del fenomeno della creazione fra i colori, a riprova che 1+1 = 3.
Il 23 marzo inaugura anche la sua mostra nella Sala delle Cariatidi a Milano. Come si è relazionato a un luogo così denso di storia?
Il titolo della mostra è La pace preventiva. Tutto si basa sul concetto che al centro dei due famosi cerchi esterni – rappresentati dal mostro-guerra e dalla virtù, ovvero il desiderio di pacificazione ‒ ci sia la pace, dettata dall’equilibrio e dall’armonia. L’idea del direttore Piraina era evocare la mostra di Guernica di Picasso nella Sala delle Cariatidi. Sia la mia opera sia quella di Picasso rispondono al fenomeno tragico della guerra, che si sta riproponendo oggi. Nell’opera di Picasso il mostro è il Minotauro e io con il mio labirinto ‒ un’opera realizzata a partire dagli Anni Sessanta utilizzando la carta corrugata ‒, che occupa tutto lo spazio, faccio riferimento all’idea della pace preventiva, ovvero un percorso difficile e complesso. Questo labirinto, invece di condurci al Minotauro-guerra, pronto a divorarci, ci consente di evitarlo, perseguendo l’idea della pace preventiva.
Nei suoi scritti, nelle sue azioni, nel lavoro di Cittadellarte a emergere è l’idea di responsabilità, come artista e come individuo sociale. Che cosa si augura, come artista e come individuo, per la società del futuro?
La responsabilità è stata un’acquisizione dell’arte contemporanea risalente agli Anni Cinquanta del secolo scorso, quando l’artista ha assunto la totale autonomia del proprio segno, della propria espressione – la libertà massima. Questa libertà è una grande conquista, ma come l’artista trasferisce tale libertà nella società? Acquisita la libertà personale, l’artista deve acquisire anche la responsabilità verso gli altri. L’artista diventa così parte attiva nella trasformazione sostenibile della società stessa. La sua capacità individuale di sviluppare il massimo della propria immaginazione ed espressione deve essere combinata con la responsabilità di tutti gli individui, gli artisti per primi.
Arianna Testino
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #33
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