Desideri, enigmi e caramelle nella mostra di Scott Myles a Torino
Un’inedita opera su carta, un lavoro serigrafico e un dipinto site specific sono riuniti nella mostra di Scott Myles da Quartz Studio a Torino
Per la sua nuova mostra a Torino da Quartz Studio, l’artista scozzese Scott Myles (Dundee, 1975) approfondisce l’idea della ciclicità e della ripetizione con un un’inedita opera su carta di grandi dimensioni, un’edizione serigrafica chiamata Potential for a Wish (as yet unmade) – che dà il titolo alla mostra – e un dipinto site specific che taglia verticalmente lo spazio.
LA MOSTRA DI SCOTT MYLES A TORINO
Senza affatto sminuire l’icastica concettualità di O O, che con assemblaggio di carta e vernice arancio fluorescente richiama la forma del rischio – due tondi bianchi, ruote o fari, fissano lo spettatore con un’incombenza e sorpresa simili al sensazionalismo ipnotico tipico dei cartelloni pubblicitari –, l’opera su cui inevitabilmente ci si sofferma è il dipinto a olio site specific, unione di sei strette tele rettangolari, dalla lettura plurima ed enigmatica.
Si tratta infatti della raffigurazione di una corda, dalle tonalità livide verde-bluastre con una sola traccia di rosso; il punto di partenza di Myles risiede nelle xilografie di Hasui Kawase, artista giapponese shin-hanga i cui genitori possedevano un’azienda di fili e trecce per corde. Il fallimento dell’attività di famiglia liberò Kawase dalle pressioni per intraprendere quella carriera a scapito della sua passione artistica; così il dettaglio, ingrandito ed estremizzato da Myles, diviene metafora di fuga. Non solo.
LE OPERE DI MYLES DA QUARTZ STUDIO
Al di là di altri evidenti riferimenti artistici, quali i divisori verticali di Barnett Newman, Endless Column (1938) di Constantin Brâncuși e Fuga (1992) di Maurizio Cattelan, i filamenti tesi e “sinistri” – come li ha definiti lo stesso artista – potrebbero echeggiare oggetti simbolici di importanti opere della storia dell’arte meno recente, come la lancia da torneo che trafigge il mostro nei San Giorgio e il drago di Carlo Crivelli (1470), Vittore Carpaccio (1502) e Raffaello Sanzio (1505 circa). Di forza contraria è il rimando istantaneo al mondo dolciario: caramelle attorcigliate, marshmallow colorati e bastoncini di zucchero, emblemi di infanzia e festosità che alimentano un cortocircuito con i toni cianotici delle tele. È proprio questa convivenza di registri, di formalità intellettuale, di critica sociale anticapitalista e di giocosità euforica e feroce sull’orlo di un cupo precipizio che interessa e che riesce drammaticamente bene a Myles. Alla sua terza mostra a Torino, l’unico desiderio che si vuole qui esprimere è di ammirare e sciogliere ancora tante volte i suoi raffinati enigmi.
Federica Maria Giallombardo
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