Le ferite di Roma. 10 artisti si confrontano con la storia cruenta della città
A cura di Spazio Taverna, la mostra alla Galleria Mattia De Luca è un viaggio in dieci tappe tra gli avvenimenti più drammatici radicati nell’inconscio collettivo di Roma, dall’assassinio di Cesare al delitto Aldo Moro. Un invito a non rimuoverli dalla memoria
Dalle Idi di marzo, con l’assassinio di Cesare nel 44. a.C. nell’area del Teatro di Pompeo, al ritrovamento del corpo di Aldo Moro, il 9 maggio del 1978, in via Caetani. Due episodi cruenti della storia di Roma che definiscono l’arco temporale evocato dalla mostra allestita fino al 25 marzo alla Galleria Mattia De Luca, in piazza Campitelli, non troppo distante da dove questi avvenimenti efferati si sono consumati. A cura di Spazio Taverna, realtà curatoriale indipendente istituita da Marco Bassan e Ludovico Pratesi, Le Ferite di Roma è un viaggio in dieci tappe – dieci “traumi”, prendendo in prestito una riflessione di Daniel Libeskind: “Il trauma non è qualcosa che puoi curare, perché sarà sempre lì” – che hanno forgiato l’identità cittadina, imponendosi come momenti di rottura, “momenti in cui la città ha tradito se stessa”.
LA MOSTRA LE FERITE DI ROMA
L’obiettivo del progetto, che chiama a raccolta dieci artisti contemporanei di diverse generazioni per curare queste ferite con un’immagine simbolica, è un invito al confronto: scongiurando l’abitudine a rimuovere certi avvenimenti cruenti e drammatici, sotterrando con pigra indulgenza il passato, la mostra vuole essere stimolo ad affrontare le ferite che risiedono nell’inconscio collettivo della città, attraverso l’approccio immaginifico dell’arte contemporanea. Ogni artista ha avuto in dote un foglio di carta Amatruda 72×52 cm, con l’input di realizzare un disegno che fosse rappresentativo di un momento e di un luogo precisi nella storia di Roma. Prima di intraprendere il viaggio nel bel salone di Palazzo Albertoni Spinola – che riunisce le opere in ordine cronologico, invitando a percorrere lo spazio in senso orario –, una mappa e una linea del tempo aiutano a orientarsi tra gli episodi in questione, fornendone le coordinate spaziali, la data e una breve contestualizzazione testuale. È subito chiaro che il racconto sarà scandito da grandi personalità della storia politica e culturale della città: Giulio Cesare e Nerone per l’epoca classica, poi Cola di Rienzo, Beatrice Cenci e Giordano Bruno, accomunati da una fine cruenta, e Galileo Galilei, vittima dell’oscurantismo culturale. Il Novecento è invece scandito dalla Marcia su Roma del ’22, e nuovamente, quasi a ricadere in un ciclico abuso di violenza, da tre fatti di sangue: il delitto di Giacomo Matteotti (1924), l’assassinio di Pier Paolo Pasolini (1975), l’assassinio e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro (1978).
GLI ARTISTI IN MOSTRA A ROMA
Sotto il profilo creativo, ciascun artista ha avuto (letteralmente) carta bianca: ne risulta un riuscito e coinvolgente collage di lavori diversi per approccio – dalla figurazione narrativa all’astrazione concettuale – e resa grafica. Nell’affrontare l’episodio che apre la spirale di traumi, Elisabetta Benassi evoca l’agguato a Cesare conficcando un grande coltello sul foglio; scuri, mannaie e coltelli minacciosi ritornano anche nell’acquerello di Silvia Giambrone, che interpreta la decapitazione di Beatrice Cenci come una serie di “torture” ordinarie e straordinarie. Volutamente disturbante è la scelta di Gabriele Silli, che utilizza il (suo) sangue per dipingere la pianta della chiesa di San Marcello al Corso dove fu esposto il corpo esanime di Cola di Rienzo nel 1354. Affiancati sulla stessa parete, funzionano per contrasto i disegni di Enzo Cucchi – con la sua notte scura e il profilo di un corvo in ceramica nell’evocare il rogo di Giordano Bruno – e di Luigi Ontani, che invece rappresenta Galileo come un colorato gallo togato, tra orbite e rappresentazioni di soli e lune. La penna biro identifica il lavoro minuzioso di Pietro Ruffo: la sua Marcia su Roma estrapola un dettaglio, quello dell’ala di un’aquila, che riempie il foglio a simboleggiare la libertà negata. L’interpretazione più lirica è però quella di Lulù Nuti, alla prova con l’assassinio di Pasolini: il foglio diventa un sudario, con la polvere che si accumula sul pavimento, ai piedi dell’opera. Accanto, Rä di Martino chiude il viaggio: il disegno della Renault 4 in cui fu rinvenuto il corpo di Moro rivela un tratto infantile, quello della bambina a cui l’artista ha chiesto di rappresentare l’auto sul retro (che diventa protagonista) di un monocromo dorato.
Livia Montagnoli
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