Perché la negatività spaventa così tanto gli artisti
Le opere create con l’Intelligenza Artificiale non sono poi così lontane da quelle, iperefficienti, create dagli artisti negli ultimi anni, rimescolando il passato. A mancare, in entrambi i casi, è l’empatia. È una negatività che deve spaventare
Se da qualche tempo sto scrivendo di questo rapporto tra Intelligenza Artificiale e arte, pur non sapendo assolutamente nulla di AI, è perché mi interessano alcune delle questioni che questa relazione agli albori sta sollevando, e ha già sollevato.
Tutto sommato, le preoccupazioni e gli allarmi riguardo alle opere generate con, attraverso, insieme alle AI sono ormai superati se, come accennavo nella scorsa puntata, ci rendiamo in effetti conto del fatto che moltissima arte degli ultimi decenni è stata di fatto concepita e realizzata con metodi e strumenti che si avvicinano (se non tecnologicamente, almeno a livello di approccio e di disposizione) a quelli dell’AI: nel senso di opere d’arte reificate, meccanizzate, simulacrali, ecc. E, soprattutto, l’aspetto che mi sembra più importante: opere d’arte ottenute attraverso la combinazione e la ricombinazione di uno sterminato archivio di altre opere e fonti. Ciò che quarant’anni fa si chiamava ‘postmodernismo’, e che di fatto non ha mai abbandonato il territorio e il sistema dell’arte contemporanea.
LA QUESTIONE DELL’EFFICIENZA E DELL’EMPATIA
E così, settimana dopo settimana, mi accorgo di ripetere come il criterio dell’efficienza – efficienza che qui vuol dire abilità della prestazione, performatività nel condurre questa operazione di ricombinazione continua del passato (recente) – abbia sostituito una certa attitudine alla negatività. “Dentro di noi abbiamo un’Ombra: un tipo molto cattivo, molto povero, che dobbiamo accettare” (Carl Gustav Jung). “Negatività” (e questo davvero appare abbastanza sorprendente; o forse no, a secondo del punto di vista vostro, di voi che leggete…) oggi vuol dire sul serio qualcosa di totalmente, completamente, definitivamente negativo, e non altro: e non, per esempio, un intero orizzonte di possibilità, di comprensione e di creazione; non la dimensione che va necessariamente integrata a quella della “positività” (qualunque cosa essa sia, e qualunque cosa si intenda per essa), per sostenere qualunque ipotesi di evoluzione; non il contesto necessario all’esistenza di ogni opera, di ogni affermazione, di ogni idea che abbia un minimo di senso.
In questo modo, sembra proprio che ci siamo ridotti a credere che le idee (e quindi: le opere d’arte) non possano in alcun modo influenzare e trasformare la realtà.
E quindi, ben vengano le opere generate dalle AI attraverso Midjourney, DALL·E, ecc., se poi è comunque l’efficienza a funzionare da criterio-guida, l’efficienza di andare da A a B a C fino in fondo, dritti dritti, senza deviare; e senza deviare verso l’empatia, l’interesse per l’altro e la relazione con l’altro (perché infatti, nel mondo dell’efficienza, empatia e relazione sono nient’altro che deviazioni dal percorso lineare, e non invece il nucleo radiante di tutto, la piattaforma fondamentale dell’esistenza): “Perché, vedete, ciò che vi manca – ciò che manca all’androide – è la sensibilità, una sensibilità basilare verso gli altri, nel senso di un’empatia, e se voi non la provate per noi, non possiamo neppure immaginare come potremmo provarla noi per voi. Può esistere solo se è contraccambiata. Potete diventare dei nostri quando volete: non dovrete far altro che provare interesse per noi, non per l’utilità che potreste riceverne, ma per quello che siamo: stupidi e inutili, inefficienti e contradditori, sbagliati, sciocchi, pigri, creduloni e così via, tutto quello, cioè, che vi impedisce di sfruttarci in quanto oggetti. Che vi impedisce di reificarci” (Philip K. Dick, L’evoluzione di un amore vitale, ne La ragazza dai capelli scuri, Fanucci Editore, Roma 2014, p. 173).
ARTE E NEGATIVITÀ
Tutto ciò che non è e non può essere ‘efficiente’ è anche – non a caso – negativo: “stupidi e inutili, inefficienti e contradditori, sbagliati, sciocchi, pigri, creduloni”; inefficienza e negatività sono le dimensioni fondamentali dell’umano; l’interesse genuino, disinteressato per queste dimensioni – ovviamente ‘controproducente’ e ‘antieconomico’ dal punto di vista androide ‒ si oppone all’interesse utilitaristico: l’interesse cioè (economico, iperefficiente) per quello che qualcuno o qualcosa può ricavare dagli altri esseri umani, l’interesse a sfruttarli, a reificarli, a vendergli X o a vendere essi stessi a Y. Nell’ambito di questo tipo di interesse, l’arte non ha alcun posto: e invece, essa – o meglio: il sistema attorno a cui essa ruota e che ruota attorno a essa; ciò che chiamiamo “sistema dell’arte contemporanea”, che come sempre va distinto sempre più nettamente da ciò che invece identifichiamo come “arte” ‒ è ricaduta da parecchio tempo proprio nell’area di questo interesse. In terra ostile, potremmo dire.
Christian Caliandro
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