La pittura aborigena di Sally Gabori in mostra a Milano

Iniziò a dipingere a ottant’anni Sally Gabori, evocando la storia della sua comunità aborigena e le sfide che ha dovuto affrontare. Oggi la Triennale di Milano la ricorda con una mostra

Dall’esilio all’esperienza della pittura, a 80 anni d’età. Elementi che potrebbero bastare per attirare curiosità sulla propria vita. Se non fosse che da quell’esperienza umana ha ricavato delle opere di una straordinaria potenza. Stiamo parlando dell’artista aborigena australiana Mirddingkingathi Juwarnda Sally Gabori (Bentinck Island, 1924 ‒ Mornington Island, 2015), ora protagonista della mostra alla Triennale di Milano organizzata in collaborazione con la Fondation Cartier pour l’art contemporain, che nel 2022 aveva già omaggiato Gabori nelle sue sale parigine.

Sally Gabori, installation view at Triennale Milano, 2023. Credit Andrea Rossetti

Sally Gabori, installation view at Triennale Milano, 2023. Credit Andrea Rossetti

LA MOSTRA SU SALLY GABORI A MILANO

In Triennale è dunque possibile rintracciare 29 opere di grandi dimensioni dove la luce emerge come se fosse installata all’interno della tela.
Il percorso espositivo si apre idealmente con il battesimo di Sally Gabori nel mondo dell’arte, ovvero quel periodo in cui ha cominciato a usare pennelli e colori per rappresentare il suo mondo. Spazio fisico-temporale di un’isola, su cui l’australiana è cresciuta all’interno di una comunità, quella dei Kaiadilt, piccola popolazione, nonché ultima, di aborigeni. Nota storica: dagli Anni Novanta in poi, dopo molti anni di lotte per il riconoscimento dei diritti territoriali degli aborigeni, l’Australia ha varato una legislazione che ha finalmente riconosciuto quelli della comunità in cui visse l’artista. Un insediamento, definito un outstation, fu stabilito a Nyinyilki, sull’isola Bentinck, permettendo a quei Kaiadilt che lo desideravano, inclusa Sally Gabori, di tornare alla loro isola nativa e rimanervi temporaneamente.

Sally Gabori, Nyinyilki, 2010, Collezione Bérengère Primat, per gentile concessione della Fondation Opale, Lens, Svizzera. Foto © Vincent Girier Dufournier

Sally Gabori, Nyinyilki, 2010, Collezione Bérengère Primat, per gentile concessione della Fondation Opale, Lens, Svizzera. Foto © Vincent Girier Dufournier

LA PITTURA DI SALLY GABORI

Il resto è una biografia, dipinta esprimendo tutta la forza, i sacrifici, ma anche le gioie ‒ e le cromie esposte esemplificano il concetto ‒ di una vita non semplice e certamente non libera. Ed è quest’ultimo aspetto a emergere in particolare, nei segni pittorici, così come nella scelta astratta e poi concreta di modularli, senza esitazioni. Un modus operandi interamente devoto all’istinto, alla libertà di dipingere le sensazioni che si palesano quando si rivive il passato attraverso i ricordi. La memoria, quindi, sovrasta e rende lieta la tela coprendola di combinazioni di colori, giochi di forme, sovrapposizioni di superfici e formati diversi. E non riguarda solo le opere presenti ora alla Triennale, ma anche quelle che Sally Gabori realizza in tutta la sua carriera. Sono più di duemila e riflettono scelte diverse a livello di formato. Al termine del suo percorso, l’artista lavora anche con le sue figlie, come per chiudere e al tempo stesso aprire un cerchio. La stessa forma geometrica che ha spinto la pittrice a definirsi con l’arte.

Ilaria Introzzi

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