Riccardo Benassi e Chemutai Ng’ok in mostra a Milano
Ricordi domestici e relazioni umane sono i temi chiave delle mostre di Riccardo Benassi e Chemutai Ng’ok alla Fondazione ICA di Milano
Una doppia mostra alla Fondazione ICA accompagna alla fine dell’inverno. Al piano terra troviamo Riccardo Benassi (Cremona, 1982) che presenta Morestalgia, a cura di Alberto Salvadori. L’installazione principale è stata ispirata, confessa l’artista, dalla tenda a strisce che teneva riparata la cucina nella casa della nonna, e nelle sue intenzioni si presenta come una “soglia funzionale”. Lungo questa cortina filamentosa, realizzata con migliaia di Led luminosi, con un corredo audio incalzante, scorrono flussi di scritte e di scene in movimento che gli spettatori possono attraversare, mimando un transito attraverso correnti di energia psichica, onde neuronali, cascate di significato, liquidazioni di senso. Quest’opera, realizzata nel 2019 e già installata nella stazione di Bologna, con la sua riproposizione all’interno di uno spazio circoscritto vede incrementato il suo coefficiente di “domesticità”, ovvero il carattere di spazio familiare da cui essa trae ispirazione. Siamo dunque invitati ad attraversare quel sipario su cui scorrono le più svariate immagini: scritte che citano massime filosofiche e bizzarre associazioni di idee, plenilunî e lanterne magiche, voli di uccelli e performance canore del buon tempo andato, che magari già ci anticipavano la fluidificata post-modernità di cui si farà interprete Zygmunt Bauman, ed ecco che così ritroviamo i famigerati Jalisse, con i loro “fiumi di parole” che “prima o poi ci portano via”. È come essere indotti a confrontarsi con lo sdilinquirsi dell’immaginario, e sperimentare l’interazione della nostra coscienza con una tecnologia che invade le fantasie, che riplasma i ricordi, che incanala e disperde gli “esuli pensieri”, che stimola e dirotta le illuminazioni improvvise, che raccorda e arruffa i flussi di coscienza.
I nostri procedimenti mentali, sempre più parassitari e contaminati, sono, del resto, a loro volta parassitati da un’ingegneria cibernetica che si appropria delle modalità di funzionamento dei meccanismi cerebrali: ne è eloquente testimonianza il video in onda nello spazio adiacente, in cui appare un robot pittore, il quale, con pennellate impetuose ma sorvegliate, si rivela dotato di un consumato talento coloristico, dando così prova di poter attingere dai suoi circuiti interni un quoziente di discrezionalità creativa che sembra renderlo compartecipe della nostra sensibilità.
LA MOSTRA DI CHEMUTAI NG’OK DA ICA A MILANO
Nei locali del piano superiore è poi di scena Chemutai Ng’ok (Nairobi, 1989), alla sua prima mostra in Italia, con An impression that may possibly last forever, a cura di Chiara Nuzzi. L’artista keniana, come recita il comunicato stampa, esplora “le dinamiche psicologiche e di potere che innervano le interazioni umane”. Anche nelle sue tele e nei suoi disegni è possibile rintracciare una qualità liquida, una dinamica figurativa fibrosa e scorrevole, condotta con linee nervose e fluttuanti come alghe, che ora restano incanalate in correnti di residui vegetali, in sciami di segni svettanti e svolazzanti, ora si aggregano in chiazze e sagome antropomorfe, o vanno a formare bozzoli o placente in cui si profilano entomologie umane che nel momento stesso in cui si formano paiono sul punto di sfilacciarsi, di ridursi a puro annaspamento di graffi, a inarrestabile proliferazione di arabeschi erbosi.
Alberto Mugnaini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati