Giulio Paolini faccia a faccia con il mito nella nuova mostra a Roma

Sei installazioni site specific sintetizzano la riflessione di Giulio Paolini sulla storia dell’Accademia di San Luca. Tra mito e filosofia

Alle spalle di Fontana di Trevi, issata sulla facciata di Palazzo Carpegna a Roma, si agita ora una bandiera istoriata: una fanciulla mitologica lancia verso chi osserva, al di là della sua dimensione, una moltitudine di cornici. È lo stendardo che annuncia la nuova mostra di Giulio Paolini (Genova, 1940), A come Accademia, ideata da Marco Tirelli e Antonella Soldaini.
La mostra all’Accademia Nazionale di San Luca si compone di sei installazioni site specific che l’artista dedica alla storia e al concetto dell’istituzione accademica. I motivi scelti ‒ la caduta, il doppio e la frantumazione, l’inconoscibilità, la decostruzione ‒ s’inscrivono in un continuum creativo che non è fiacca iterazione, ma riflesso di ciò che ha messo a fuoco Claudio Strinati: “In ogni epoca e sotto qualunque cielo, definiamo Maestro l’autore di una sola opera, le sue opere sono la sua Opera”.

Giulio Paolini, A come Accademia (I), 2010-23, foto Andrea Veneri

Giulio Paolini, A come Accademia (I), 2010-23, foto Andrea Veneri

LA MOSTRA DI PAOLINI A ROMA

Nel lontano 1593 Federico Zuccari fondò a Palazzo Carpegna un florido sodalizio attorno al quale riunire tutti gli artisti della Città eterna. Ma ancor prima fu Platone a formare l’Accademia per eccellenza. Ispirata al nome di Academo, l’eroe greco che svelò ai Dioscuri dove era nascosta la bella Elena, rapita da Teseo. Una digressione che urge laddove Paolini appare tacito e fecondo discepolo platonico oltre che epigono del vivi nascosto epicureo.
L’opera unica del Maestro sembra aver cura per l’immutabile e per la dottrina delle idee. Ciascuna installazione è un sistema centrifugo, aperto e tuttavia anti-relazionale, elevato su un piedistallo. E pare suggerire che nessuna forma può commisurarsi all’immaginazione, poiché l’assoluto cui mira esclude ogni limite. L’imperscrutabilità costituisce una possibile via di fuga.
La calata di Sisifo verso l’abisso di Atlantide è inscritta nell’immota sacralità delle colonne di un tempio, alla testa caduta della Venere di Fidia fa da contrappunto la squadrata sistematicità del cavalletto. La geometria salva una statua femminea dall’indecisione nel cortile porticato dell’Accademia, di fronte all’Achille morente di Filippo Albacini (1854) che introduce al giardino.

Giulio Paolini, In cornice, 2023, foto Andrea Veneri

Giulio Paolini, In cornice, 2023, foto Andrea Veneri

LE OEPRE DI PAOLINI ALL’ACCADEMIA NAZIONALE DI SAN LUCA

All’aurea stasi di ogni opera segue la serietà della melancolia. Una nostalgia assoluta derivante dalla constatazione che la forma non sia mai altro che forma e cioè finitudine. L’immaginazione si inabissa, la natura va come svanendo al cospetto della ragione. E, nel tentativo di percorrere tutte le vie della perfezione, Paolini sembra procedere in tensione tra un metodo euristico (intuitivo) e uno algoritmico (matematico).
Ne vien fuori, come dal calcolo di un’equazione filosofica, che il suo sistema, il sistema-Paolini, è indeterminato e dunque ammette illimitate soluzioni. Per questo riecheggia ancora e ancora una frase breve e paradossale, perché mette un punto e non trova smentita: “Di Paolini si potrebbe parlare all’infinito”.

Francesca de Paolis

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Francesca de Paolis

Francesca de Paolis

Francesca de Paolis si è laureata in Filologia Moderna con indirizzo artistico all'Università La Sapienza di Roma proseguendo con un Corso di Formazione Avanzata sulla Curatela Museale e l'Organizzazione di Eventi presso l'Istituto Europeo di Design (IED). Ha insegnato Storia…

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