L’opera di Gabriele Picco censurata a Bolzano. La sua lapide per una nuvola “offende la religione”

Tra i cinque partecipanti alla collettiva Bolzano in Fiore Arte, l’artista bresciano ha presentato l’installazione In loving memory of a vanished cloud. Lamentele e minacce di commercianti e cittadini hanno portato a rimuoverla nel giro di poche ore. L'intervista

Invitato a esporre in uno spazio pubblico a Bolzano, ho sperimentato per la prima volta in vita mia la censura: in seguito alle lamentele dei passanti e degli esercenti la mia opera che mai avrei pensato essere offensiva è stata rimossa. Sono abbastanza scioccato”. Con queste parole, un interdetto Gabriele Picco (Brescia, 1974) sintetizza quanto successo nella mattinata del 14 aprile a Bolzano. Invitato a partecipare alla collettiva Bolzano in Fiore Arte, a cura di Marco Nones e promossa in collaborazione con il Comune di Bolzano, l’artista bresciano ha scelto di esporre la sua In loving memory of a vanished cloud, installazione già presentata nel 2022 a Palazzo Martinengo, in occasione della personale organizzata nella sua città.

IN MEMORIA DI UNA NUVOLA SCOMPARSA. L’OPERA OGGETTO DI SCANDALO

L’opera “in memoria di una nuvola scomparsa” si presenta come una lapide in granito nero intitolata, per l’appunto, a una nuvola, chiaramente ritratta nella fotografia che solitamente è destinata al defunto. E, come spiega lo stesso Picco, “è stata pensata per celebrare l’effimero, con la volontà di conservare la memoria di qualcosa che è per natura evanescente, proprio come le nostre esistenze, consegnandola all’eternità”. Un messaggio poetico che evidentemente la platea di Bolzano non si è preoccupata troppo di approfondire. Neanche poche ore dopo il disvelamento dell’opera – che insieme ai lavori degli altri quattro artisti italiani coinvolti nella collettiva inaugurata stamane avrebbe dovuto rappresentare un’incursione dell’arte contemporanea in alcuni dei luoghi simbolici del capoluogo altoatesino – la lapide intitolata alla nuvola è stata rimossa dalla sua collocazione, perché “offende la religione”. “Sono dispiaciuto per quanto accaduto, perché avrei voluto che le persone si confrontassero con l’opera, e anche scosso dalla dinamica”, racconta Picco, ancora a Bolzano in attesa di poter recuperare il suo lavoro, “parcheggiato” in un deposito per evitare ulteriori turbamenti dell’opinione pubblica.

Gabriele Picco, In loving memory of a vanished cloud

Gabriele Picco, In loving memory of a vanished cloud

LA REAZIONE DI BOLZANO ALL’OPERA DI GABRIELE PICCO

La collocazione scelta per l’installazione, dopo accurati sopralluoghi e con il consenso di tutte le parti in causa, era stata la piazzetta del Palais Campofranco, “uno spazio aperto al passaggio pubblico, dove affacciano diverse attività commerciali, però di proprietà privata. Ma anche il proprietario era stato informato ed era pienamente d’accordo con l’esposizione dell’opera in questione”, precisa Picco. Eppure, “a seguito della presentazione, con il curatore, la stampa e il pubblico riunito per l’occasione, il titolare del ristorante in piazzetta mi ha subito raggiunto, con fare aggressivo, per intimarmi di spostare la lapide: ‘Se vuoi fai due foto, poi devi spostarla, anzi la sposto io’, ha protestato”. Alle minacce del ristoratore (“Nessuno ha voglia di mangiare guardando una lapide”) sono seguite le proteste di alcuni passanti – “anche se io inizialmente ho avuto modo di confrontarmi con alcuni cittadini interessati, sicuramente non polemici”, sottolinea Picco – e diverse telefonate di lamentela. Tanto che, di comune accordo, artista e curatore hanno deciso di accogliere parzialmente le proteste, spostando l’opera – sempre opportunamente corredata di un totem informativo sull’artista e sul significato dell’installazione – nell’aiuola che in piazzetta circonda il grande ginkgo biloba donato alla città dalla Principessa Sissi nel 1899.

Gabriele Picco e Marco Nones a Bolzano

Gabriele Picco e Marco Nones a Bolzano

LA MORTE È UN TABÙ. LA RIFLESSIONE DI GABRIELE PICCO

Ma neppure questo è bastato: “Senza neppure avvisarci, qualcuno ha rimosso definitivamente l’opera, chiudendola nel deposito dove si trova ancora. In un primo momento ho anche temuto per la sua sorte, dal momento che nessuno si è preoccupato di informarmi sul luogo in cui l’avevano trasferita. Tutta la dinamica è stata abbastanza violenta, eppure non mi sembrava un’opera provocatoria, in passato ho realizzato lavori finalizzati a provocare, ma sicuramente non è questo il caso. Molti non hanno fatto il passo successivo per capire, probabilmente neppure si sono avvicinati alla lapide. Devo dedurre che il tema della morte continua a essere un tabù”. Al dispiacere di Picco, si aggiunge quello del curatore Nones. E a quanto pare non ci sarà possibilità di vedere l’opera collocata altrove, in città, nell’ambito della collettiva che comunque proseguirà nei prossimi giorni, pur mutilata: “Abbiamo chiesto al Comune di poterla installare in un altro spazio, ma ci hanno risposto che non è possibile. Quindi la parentesi è chiusa, sinceramente non mi aspettavo questo atteggiamento di totale chiusura. Magari un giorno riusciremo a organizzare un’altra mostra a Bolzano, con le mie opere. Chissà…”.

Livia Montagnoli

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