Incisione e poesia nella mostra di Maria Pina Bentivenga e Mei Chen Tseng a Roma
Il segno inciso accomuna due artiste, una italiana e una taiwanese, che si ritrovano all’Istituto Centrale per la Grafica per dare forma a una indagine che chiama in causa Oriente e Occidente
Immediati dintorni è il titolo di una raccolta di scritti di Vittorio Sereni in cui il poeta intese organizzare proprie riflessioni fino a quel momento sparse su quanto, pur affondato nella vita d’ogni giorno e nella storia tanto individuale che universale – anche quella più cruenta, come le esperienze di guerra e prigionia vissute in prima persona dall’autore – è intimamente vicino alla poesia. Immediati dintorni è anche il titolo di una doppia personale delle artiste Maria Pina Bentivenga (Matera, 1973) e Mei Chen Tseng (Taiwan, 1977), allestita presso l’Istituto Centrale per la Grafica.
L’INCISIONE IN MOSTRA A ROMA
Si tratta di una mostra, raffinata e potente, da segnalare per almeno due ragioni: in primo luogo, infatti, dalla combinazione delle due artiste sortisce un campionario d’arte incisoria come di rado capita di poter osservare, con un dialogo tra scuole e tecniche – l’occidentale, incentrata su tecniche d’incisione indiretta, l’orientale, dedita all’intaglio su legno di testa – che trascende il virtuosismo tecnico con la grazia propria di chi conosce talmente bene il proprio mestiere da dare l’impressione di una sua pratica irrilevanza. Ancora, l’esposizione rientra in un meritorio nuovo corso dell’Istituto, volto a valorizzare in maniera più sistematica, in un contesto già di per sé periferico dell’arte contemporanea quale l’incisione, l’opera di donne artiste.
LE OPERE DI BENTIVENGA E TSENG
Di Maria Pina Bentivenga abbiamo già avuto modo di occuparci in passato, riportandone la voce di sperimentatrice e insieme custode di una linea dell’incisione italiana che, nelle edizioni d’arte in collaborazione con poeti e scrittori, ha trovato un proprio personale terreno d’elezione; qui è d’obbligo richiamare almeno la distintiva leggerezza delle sue composizioni, solitamente incentrate su una trasfigurazione di elementi materiali tratti dal paesaggio che l’acquaforte scioglie in visioni liquide e misteriosamente sognanti, vicine per certi versi a un remoto immaginario nordico (Wenzel Hablik è il primo nome a venire in mente).
Di Mei Chen Tseng va invece segnalata la sorprendente capacità di ottenere, attraverso una tecnica “muscolare” e necessariamente spigolosa come la xilografia, effetti atmosferici di qualità pittorica (non a caso avvicinati da Michela Becchis, nel bel catalogo della mostra, a quelli della tradizione calligrafico-pittorica cinese), messi al servizio di una straniante commistione di temi e iconografie diverse, oscillanti tra i due mondi in cui l’esistenza dell’artista si svolge, Roma e Taipei.
Completano l’allestimento una preziosa raccolta di edizioni d’artista che offrono a Bentivenga e Tseng lo spazio più consono per celebrare, a partire dalla sontuosità delle carte impiegate, quella discreta, materiale prossimità alla poesia celebrata con convinzione ed efficacia sin dal titolo della mostra.
Luca Arnaudo
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