Scultura come pensiero. La mostra di Mauro Staccioli a Milano
Getta un nuovo sguardo sull’opera di Mauro Staccioli la mostra da A arte Invernizzi. Suggerendo prospettive taglienti e inaspettate
Noto a livello internazionale per le sue grandi “sculture intervento” all’aperto, capaci di interagire con l’ambiente naturale a livello meteorologico, geologico e astronomico, in questa mostra che la galleria A arte Invernizzi di Milano gli dedica dieci anni dopo la sua ultima personale nei medesimi spazi, Mauro Staccioli (Volterra, 1937 – Milano, 2018) offre una declinazione del suo lavoro più intima e ritmata, fatta di stacchi e di riprese, di reiterazioni e di ritornelli. Come suggerisce il titolo della mostra, Scultura come pensiero che trasforma, e come dichiara la curatrice Francesca Pola, ci troviamo di fronte a “segni inaspettati che ci indicano nuove direzioni”.
Messa di lato rispetto all’entrata, una piccola cuspide d’acciaio che protrude dalla parete sbucando dalla sua mattonella di cemento fora lo spazio e graffia di sbieco lo sguardo: quest’opera del 1976 che ci accoglie all’ingresso funziona come una propedeutica affilatura della vista e come preliminare intervento di trasformazione dell’ambiente nel quale avanziamo.
LE OPERE DI MAURO STACCIOLI IN MOSTRA A MILANO
Al piano superiore tre serie di lavori in corten, che richiamano in miniatura celebri opere realizzate in spazi pubblici, reiterandosi a intervalli regolari, danno vita a una successione che rilegge e ridefinisce in chiave modulare e metrica il loro carattere di “multipli”: lo spazio risulta così scandito e pausato attraverso una punteggiatura tagliente, fatta di mezzelune acuminate e virgole artiglianti che articolano il ritmo del nostro stesso incedere. Nei locali adiacenti vanno in scena altri progetti, sia tradotti in modelli in metallo che in disegni, come quelli del ciclo Forme perdute del 2012 o dei famosi Tondi.
Al piano seminterrato spiccano sei sculture del ciclo Sbarra e cemento, risalente agli Anni Settanta: sei sottili barre metalliche si drizzano dai plinti in cui sono confitte e interagiscono con le colonne del luogo espositivo, modulando il transito degli spettatori e scandendo l’ambiente in partiture verticali, attraverso uno slancio di stoccate parallele che puntano verso l’alto e valgono a intridere la dinamica dello spazio di un empito spirituale.
Alberto Mugnaini
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