Intervista ad Alice Capelli. Performance di corpo e pittura seduttiva
Carne, materia, performance. Alice Capelli è una giovane artista milanese che realizza opere che gridano alla libertà delle donne. Usando anche il suo corpo
Alice Capelli (Milano, 1997) è un’artista emergente che lavora a Milano. Si è laureata in pittura all’Accademia di Brera, e ha proseguito gli studi in Naba, conseguendo un Master in Art and Ecology nel 2023. Nonostante la giovane età ha lavorato a diverse mostre, tra cui la prima a Palazzo Cusani (Milano) nel 2021 e l’anno successivo al Museo d’Arte Moderna di Mantova. Capelli è irriverente e sfacciata ma riesce a raccontare il contemporaneo con grande lucidità. Scopriamola meglio…
Quando è nata Alice come artista?
A cavallo fra l’anno 2020 e 2021. A dire il vero ho sempre avuto una grande propensione creativa, fin dall’infanzia; ho praticato diverse categorie di danza fino ai miei 20 anni, amavo (e amo) disegnare e durante la tarda adolescenza ho iniziato a indagare la mia vita intima e sessuale attraverso la fotografia; proprio su questa ho un grande progetto che ancora non ho pubblicato perché è un work in progress. Ho sempre avuto la necessità di documentare le esperienze vissute sia attraverso la pittura sia attraverso le immagini.
Quando si è palesata l’opportunità per la tua prima mostra?
Nel 2021 ho partecipato alla prima mostra collettiva dal titolo Tramestio, a Palazzo Cusani; durante il processo creativo per la realizzazione della mostra ho creato il primo progetto site-specific entrando in relazione con lo spazio, sentendo una profonda affinità con l’elaborazione di opere realizzate ad hoc per il luogo espositivo. L’arte mi ha salvata da diversi momenti difficili della mia vita e continua a essere una compagna di viaggio, ogni giorno.
Raccontaci meglio la tua pratica artistica…
Il corpo fisico nella mia ricerca è trattato come un mezzo per determinare un segno tangibile di un vero e proprio viaggio sulla Terra: sono stato qui e sono qui ora. Attraverso Strapparmi la buccia (To Peel off My Skin, 2021-2023) ad esempio, che è una delle mie azioni performative, applico un materiale simile alla pelle sul mio corpo per elaborare opere pittoriche e scultoree in cui cerco e mostro me stessa senza freni. La pelle si presenta come un manufatto in lattice (inizialmente spalmato sul corpo e lasciato asciugare, dipinto, e quando asciutto rimosso) che viene installato nell’ambiente circostante o appeso al quadro, attaccato alla tela, diventando parte del dipinto stesso.
Il tuo approccio è molto materico…
Si, assolutamente. Il lattice ad esempio è un liquido viscoso, ecologico e riciclabile, è elastico, morbido e allo stesso tempo fragile e delicato. Mi permette di tradurre il cast di ogni piccolo dettaglio della pelle come pori e capelli. Grazie a questa proprietà del materiale posso posizionare parte della biologia del corpo sulla superficie dello spazio circostante. Durante la performance, scelgo con cura le parti del corpo che hanno un significato personale nella manifestazione di movimento come braccia e gambe, così come le parti più sensibili del corpo, il torace, seno e pancia: i luoghi delicati, dove la pelle è più fragile, luoghi che potrei definire, allo stesso tempo, vulnerabili. Nella mia pratica miro a documentare l’esistenza del corpo e a fare un ricordo accurato di esso, assorbendo l’esperienza, rendendolo sacrale.
Da dove nascono i tuoi lavori? Da esperienze di vita o forse da un immaginario futuro?
La mia ricerca nasce da esperienze passate e dalla necessità di ricordare. Ho paura di dimenticare e, dimenticando, potrei non essere in grado di tenere con me le immagini dei miei ricordi, queste ultime intangibili, possono svanire e lasciare un grande vuoto interiore. La mia ricerca diventa un percorso tangibile alla memoria, traccia di un passaggio emotivo e concreto che stabilisce la testimonianza di una presenza fisica e interiore, la documentazione di essa. Il mio corpo è un mezzo per acquisire esperienza e sopravvivere. Sviluppo il mio lavoro anche riflettendo sul futuro, riflettendo su ciò che resta dopo il passaggio di un corpo come strumento per vivere la vita. Infine per me è importante sensibilizzare ed educare lo spettatore riguardo a temi delicati come la sessualità e la percezione del corpo fisico.
Qual è la tua modalità di lavoro?
Ho due differenti modalità di lavoro: la prima è istintiva, primordiale, sento la necessità di toccare e di usufruire dei materiali. La seconda è progettuale: se ho una mostra in programma creo un progetto espositivo e lavoro in maniera metodica per concludere le opere secondo la data prestabilita. Il mio è, in ogni caso, un approccio quotidiano.
C’è una galleria con cui hai un rapporto fisso?
No, non c’è. Sto sperimentando, e credo di dover ancora trovare lo spazio per me. O forse è lui che deve trovarmi…
Dove lavori?
Ho sempre lavorato a casa, non ho mai avuto la necessità di avere uno studio fino a oggi. Finalmente ora invece ho uno spazio-studio dove poter creare.
Raccontaci di più di questo spazio…
È un grande spazio ex industriale che si trova a Gaggiano, per intenderci, un piccolo comune zona Navigli a Milano. Amo l’ampiezza e la libertà creativa che mi da questo luogo, e sono davvero felice di averlo trovato. In più ha anche un’area abitativa che mi permette di avere tutti i confort di una casa e quindi riesco a passarci davvero la maggior parte del mio tempo. È il mio nido sicuro.
Oltre alle performance dipingi molto. Raccontaci di questi quadri.
Le mie opere pittoriche hanno al loro interno aspetti del mio carattere; la seduttività, l’eleganza, la delicatezza, il calore e allo stesso tempo la paura, la rabbia, l’arroganza. La mia pittura è acquosa, utilizzo una miscela di pigmenti ed emulsione acrilica. Poco colore, e tanta acqua per determinare la purezza del gesto senza alcun artefatto. Il focus del mio linguaggio è su effetti rovinati, slavati, polverosi che desiderano dare la sensazione di tempo trascorso. Attraverso il mio linguaggio cerco una pittura delicata e sincera. Decido di mostrare alcuni errori, valorizzandoli. Segni, impronte e sbavature diventano i veri protagonisti della storia che ha avuto luogo sulla superficie.
Il mondo dell’arte ti spaventa?
Il mondo dell’arte è una grande e continua sfida per me. Ma credo che la chiave per scoprire e non lasciarsi mangiare da questo mondo sia la perseveranza. Non sono spaventata, mi rendo conto delle difficoltà che ci sono al suo interno, ma sono ottimista e ho fede.
Hai un sogno nel cassetto?
Il sogno è poter continuare a vivere immersa nell’arte, sogno di avere sempre questo grande privilegio.
Gloria Vergani
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