Gli artisti e la guerra nella mostra al Castello di Rivoli

Da Goya a Picasso, da Burri a Kadan: gli artisti hanno spesso preso posizione nei confronti di una guerra vissuta sulla propria pelle. La mostra piemontese raccoglie i loro punti di vista

Il titolo della mostra in corso al Castello di Rivoli, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio, parla chiaro: Artisti in guerra. Quello che è esposto non è il frutto di un discorso che si svolge intorno alla guerra, ma l’espressione di coinvolgimenti, esperienze e testimonianze vissuti dall’interno della guerra: in totale 149 opere, realizzate da 39 autori.
Se una selezione di immagini fotografiche d’archivio, documentando gli scempi dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale nel capoluogo piemontese, ci fa rivivere gli orrori patiti dal territorio in cui ci troviamo, il punto di innesco della mostra è costituito da una presenza-assenza: le 83 incisioni dedicate da Francisco Goya ai Disastri della Guerra, racchiuse in un’edizione rilegata del 1863. E se queste immagini restano quasi tutte impaginate e invisibili dentro la teca che ospita il volume, ecco che alle pareti di questa stessa stanza raffigurazioni di corpi agonizzanti e martoriati riprendono e rendono manifesti esempi di atrocità analoghi a quelli testimoniati nel capolavoro grafico del maestro spagnolo. Autore di questi terribili disegni e dipinti è Zoran Mušič, ricordato soprattutto come nostalgico cantore di cavallini dalmati e di donne-totem dai grandi ombrelli: grande cultore dell’opera di Goya, l’artista sloveno ci offre qui le sue testimonianze, alcune in presa diretta, altre eseguite sull’irrefrenabile pressione dei ricordi, degli orrori del lager di Dachau, dove rimase internato per diversi mesi. Più avanti, ci sono poi le fotografie di Lee Miller che immortalano le efferatezze dei campi di sterminio, a riecheggiare nel loro impassibile bianco e nero le sofferenti, vibranti documentazioni grafiche fornite da Mušič sullo stesso soggetto.
Se la Testa di Donna (1942) di Pablo Picasso, già presente in deposito a Rivoli, viene associata dalle curatrici ai visi straziati di Guernica, come se questo capolavoro si lasciasse dietro ossessive chiose e poscritti, anche i due Sacchi di Alberto Burri qui presentati, entrambi eseguiti nel 1954, si caricano di un senso più concitato e drammatico, riecheggiando in modo più direttamente metaforico i motivi della lacerazione degli animi e dello scempio dei corpi, se li guardiamo dopo aver preso visione di uno dei suoi primi, rari dipinti, Texas (1945), raffigurante un paesaggio con il campo di detenzione in cui fu confinato come prigioniero di guerra.

Francisco José de Goya y Lucientes, Con razon ó sin ella, 1810-15, Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l'Arte. Photo Ernani Orcorte

Francisco José de Goya y Lucientes, Con razon ó sin ella, 1810-15, Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte. Photo Ernani Orcorte

LA GUERRA E GLI ARTISTI DALL’INDOCINA ALL’AFGHANISTAN

La guerra di Indocina è ricordata da circa 70 opere realizzate da artisti Viet-Cong e nordvietnamiti negli anni a cavallo del 1970, messe insieme da Dinh Q. Lê, fuggito dal Vietnam del Sud e giunto negli Stati Uniti tra la “boat people”, mentre i traumi e i ricordi legati ai conflitti arabo-israeliani trovano un’eco trasfigurata nelle visioni oniriche dipinte da Bracha L. Ettinger, che, arruolata nell’esercito israeliano, prese parte attiva, nel 1967, alla Guerra dei Sei Giorni.
Quindi passiamo al conflitto in Iraq, con il video The Ballad of Special Ops Cody (2017) di Michael Rakowitz, statunitense di origine irachena, in cui viene utilizzato come protagonista un modello giocattolo di soldato americano, che, stranito e confuso, viene fatto vagare, con la tecnica di animazione stop-motion, all’interno di un museo di Chicago dove sono conservati reperti mesopotamici, provenienti quindi da quegli stessi luoghi che avevano visto le campagne e i raid dei suoi commilitoni in carne e ossa. Né può mancare l’Afghanistan, con i cerimoniali e ipnotici video di Rahraw Omarzad, che è anche autore di sei grandi pannelli, dipinti, per così dire, facendo esplodere una carica di dinamite mescolata alla pittura.

Artisti in Guerra, installation view at Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Photo Sebastiano Pellion. Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

Artisti in Guerra, installation view at Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Photo Sebastiano Pellion. Courtesy Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino

LA GUERRA IN UCRAINA

Parliamo infine dell’opera nata dentro l’ultima guerra, quella ancora in atto ai nostri giorni. In una delle sale un tramezzo posto trasversalmente cattura la nostra attenzione, mostrandoci quelli che a un primo sguardo possono apparire come due grandi dipinti orizzontali, larghi sei metri, posti uno sopra all’altro: in basso un monocromo nero, in alto la raffigurazione di una distesa di libri, impilati in modo da mostrare il taglio delle pagine, senza lasciare il minimo spazio vuoto. Avvicinandoci ci accorgiamo però che nel riquadro superiore sono pressati gli uni sugli altri dei veri libri. Ma non di biblioteca bisogna qui parlare, bensì di barricata, di blindatura, di schermo, perché ci si riferisce a quanto l’artista è stato costretto a veder sperimentare: Nikita Kadan infatti è ucraino e testimonia quest’uso pervertito dei libri, oggi, nella sua patria, come rinforzo e difesa contro proiettili e bombe. Poi, abbassando lo sguardo e mettendo meglio a fuoco, ci ritroviamo inghiottiti entro l’incavo del rettangolo inferiore: caverna buia e fuligginosa, antro demoniaco dal cui fondo si leva immobile una mano, come nell’inferno di Bucha ampiamente documentato dai servizi televisivi, riprendendo il virale dettaglio dell’orrore, del simbolo più agghiacciante e più mediaticamente significativo dell’attuale guerra. Quando ci lamentiamo di certa vacuità e accademismo dell’arte a noi contemporanea, ricordiamoci che ancora, come davanti a quest’opera, intitolata The Shelter II (2023), appositamente realizzata in questa occasione, ci possono sorprendere esiti sublimi e sublimanti, in grado di coniugare il contingente con l’universale, e la ricerca estetica con un messaggio capace di colpire le coscienze di tutti.

Alberto Mugnaini

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Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini, storico dell’arte e artista, si è laureato e ha conseguito il Dottorato di Ricerca all’Università di Pisa. Dal 1994 al 1999 ha vissuto a New York, dove è stato tra i fondatori del laboratorio di design “New York…

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